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tre frecce nella mia collezione raccolte nella campagna di Roma, senza notarne però le circostanze scientifiche. Ma se questo argomento non è valido a dimostrare l'antichità della razza italiana, non mancano osservazioni in altre parti della penisola. Oltre quelle della Sicilia, il distinto geologo Scarabelli pubblicava fino dal 1850 negli Annali di scienze naturali di Bologna una quantità di queste armi di forma diversa rinvenute sulle colline subappennine dell'imolese. Egli non solamente studiò la natura di quelle selci derivate dalle formazioni della Creta appennina, ma eziandio rinvenne il luogo dove vennero fabbricate, indicato dalle minute schegge della stessa silice.

(18) Che i vulcani del Lazio abbiano spiegata la loro più grande attività dopo il ritiro generale delle acque durante l'epoca quaternaria, oggi non ei ha più alcun dubbio: e che in essi per ben tre volte fu ripetuto un periodo eruttivo alternato da periodi di calme, mi sembra dimostrato dalla forma e ampiezza dei crateri, dalle materie eruttate, e dalla loro estensione. Veggasi la mia Storia naturale del Lazio letta all'accademia tiberina il 21 febbraio 1859, stampata nel Giorn. Arcad. Tom. CLVIII.

(19) Virgilio chiamò i primi abitatori del Lazio; Gensque virum truncis et duro robore nata, L. VIII, alludendo allo stato boschivo e incolto del suolo e al loro stato selvaggio. I miti di Saturno e di Giano, abitatori, il primo dell'Aventino, l'altro del Gianicolo da cui prese il nome, segnano il principio della nostra civiltà, Essi furono personaggi venerati quali divinità e re degli aborigeni, perchè furono i primi istitutori nel secolo d'oro di una vita civile, per mezzo dell'agricoltura e delle leggi, a genti rozze e feroci.

Discorso sulle legislazioni dei popoli primitivi intorno alla proprietà fondiaria, letto all'accademia de'Quiriti dal doll. Giuseppe Montanari, segretario della sezione legale, il 20 aprile 1858.

Valentissimi scrittori discutendo nei rapporti della

filosofia, della morale, dell'economia, della politica, e della legislazione quella grande questione che chiamano sociale sonosi più o meno avvalorati della storia maestra della vita. Ma, per quanto almeno pare a me, incerti e vaghi sono i ricordi di storia primitiva che in tali scritti si contengono: e d'altra parte la storia della proprietà non è stata fin qui, che io sappia, scritta: anzi della proprietà stessa ben poco hanno detto coloro, che di legislazioni e di popoli scrissero storie generali, o speciali. Ho creduto pertanto fosse opera non discara a voi, accademici ornatissimi, e non del tutto inutile ricercare nella storia de' popoli primitivi qual fosse la condizione delle terre da loro signoreggiate, se cioè fossero esse comuni a tutti, o proprie di alcuni, e come tal comunanza o proprietà fosse ordinata nel rapporto legislativo: lo che farò nella presente tornata, per quanto il consentiranno i confini di un discorso accademico, e gli studi miei tenuissimi.

Cominciando le ricerche nella Palestina, sappiamo dal Genesi, che i nostri patriarchi scorrevano per quella con numerosa famiglia di figliuoli e di servi, e con numerosissimi armenti, che facevano pascere

presso al luogo ove alzavano la tenda, benchè nè fossero signori d'alcun paese, nè proprietari di alcun terreno. Ciò dimostra, che a que' tempi primitivi essendo scarsa la popolazione, e le città poste a grandi distanze, il territorio era aperto a tutti, e ognun poteva esercitarvi la pastorizia, che pienamente sodisfaceva ai bisogni degli uomini, e nella quale consisteva allora la ricchezza. Quindi è che si legge d'Isacco, che addivenuto in armenti sì ricco da risvegliar la gelosia degli abitanti di Gerar, presso i quali albergava, udì dirsi dal sovrano del luogo: Recede a nobis, quoniam potentior nobis factus es valde. Se le terre non fossero state a tutti comuni, Abimelech avrebbegli detto con più di ragione recede a nobis, perchè non hai terre proprie sulle quali pasturare il tuo gregge. E neppure, gli disse che quella pastura recava danno agli abitanti; giacchè a que' tempi, per la sovrabbondanza delle terre da pascolo, ogni famiglia che sopraggiungesse con armenti, recava invece un vantaggio al paese. Così allorquando Giacobbe colla sua figliolanza e col suo gregge fissò la tenda presso Salem, il principe di quella città, anzichè discacciarlo, nell' arringa che fece al popolo presso alla porta disse: Viri isti pacifici sunt et volunt habitare nobiscum: negotientur in terra, et exerceant eam, quae spatiosa, et lata cultoribus indiget: e conchiuse esser questo per il paese un grande vantaggio.

Nè questa comunanza di terre importava solo il ius pascendi, traeva pur seco il dritto di seminarvi il grano. Isacco, dimorando nel paese anzidetto, non possedeva un palmo di terreno in esclusiva proprietà:

eppure serit in terra illa, et invenit centuplum, benedixitque ei Dominus. Anche i manufatti su i terreni a tutti comuni erano una proprietà di colui, che fatti gli avesse. Abramo cavò pozzi per abbeverare il suo gregge in Gerar, ch'essendo stati poi usurpati dai servi di Abimelech, egli se ne lagnò seco lui, quoniam ego fodi puteum istum, allegando come titolo di proprietà il lavoro delle sue mani, e gli fu resa ragione. Isacco, un secolo dopo ivi venuto, cavò altri pozzi, e rivendicò come proprietà paterna quei medesimi, che Abramo aveva cavato, e che per mal talento gli abitanti del luogo avevano ostruito.

Guardando all'origine di un tale ordinamento di terreni non credo provenisse da alcuna legge positiva, ma piuttosto dal consentimento universale, in virtù di cui il pastore facea pascere i suoi bestiami dell'erbe, che la terra spontaneamente produceva, si appropriava i pozzi, od altri manufatti come opera del suo travaglio, e raccoglieva il grano che aveva seminato, come prodotto del suo lavoro. Ma se un siffatto ordinamento rispondeva pienamente ai bisogni della pastorizia, non corrispondeva punto a quelli dell'agricoltura, perchè l'agricoltore non può essere veramente tale, che in un terreno esclusivamente suo. Or che in Palestina a que' medesimi tempi fossero anche terreni di privata proprietà, si ha dal Genesi, ove si narra, che Abramo, allorquando morì Sara presso Ebron, recossi alla porta di quella città, e disse a coloro, ne' quali s' imbattè: Intercedite pro me apud Efron, ut det mihi speluncam duplicem, quam habet in extrema parte agri sui: pecunia digna tradat eam mihi coram vobis

in possessionem sepulcri; cui Efron, che si trovava in mezzo a quelli, scambiate alquante parole rispose: Terra quam postulas quadrigentis siclis argenti valet, istud inquam est pretium inter me et te. Ed Abramo: Appendit pecuniam, quam Efron postulaverat, audientibus filiis Heth, confirmatusque est ager quondam Efronis, in quo erat spelunca duplex, tam ipse quam spelunca et omnes arbores eius per circuitum, Abrahae in possessionem, videntibus filiis Heth, et cunctis, qui intrabant portam civitatis. Erano dunque in Palestina, diciotto secoli avanti l'era volgare, terre recinte da alberi proprie di alcuni, le quali erano in commercio mediante contratti, e si trasmettevano per dritto ereditario: giacchè quantunque Abramo si partisse da quel luogo, nè vi tornasse più alcuno di sua famiglia, pure in quel medesimo sepolcro fu quindi posto esso stesso, poi Rebecca e Lia, poi Isacco, e due secoli dopo vi fu trasportato Gjacobbe dall'Egitto.

lo ritengo per indubitato, che anche queste proprietà private fossero nella loro origine acquistate per il consenso degli altri cittadini, i quali espressamente o presuntivamente acconsentirono, che un di loro dissodando una porzioncella del territorio a tutti comune, coltivandola assiduamente, e piantandovi la vite, ed altri alberi da frutto, se l'appropriasse come premio del suo travaglio, o prodotto della sua industria, ed escludesse così ogni altra persona dal godimento di quella. Avvalora la mia opinione il fatto, che nell'anzidetta vendita quantunque quell' Efron apparisca assoluto proprietario del terreno, e perciò trasmettesse i suoi diritti in

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