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Considerazioni sulle belle arti e sullo stato attuale di esse in Roma. Ragionamento letto nella sala del Serbatoio degli Arcadi in Roma il dì 12 dicembre 1861 dal cav. Diodato Consigliere de Sanctis pr. emerito di calcolo sublime e di fisica matematica, accademico de Quiriti, e fra gli Arcadi Cleante Olimpiaco.

Dal computo degli anni, o signori, e dalla man

canza delle forze apprendo, che nel cammino della vita ho passato il vertice della parabola, e che vado declinando per raggiungere l' ordinata. Comprendo pure che la vigoria della mente per età e per sofferenze dello spirito vien meno. Per tali condizioni, del pari infelici che spiacevoli, non avrei osato d' inoltrarmi in queste stanze, le cui pareti sono decorate dall' effigie di uomini chiari che in epoche diverse vi ebbero seggio, le quali spirano contegno in chi le riguarda con senno; tra queste mura che tramandano un eco sonoro della sapienza di coloro, che pel corso di poco meno di due secoli, da che trovasi fondata questa illustre accademia, vi sciolsero canti e prolusioni sublimi, che valsero e varranno ad infondere scintille di genio, e. ad incoraggiare i bell' ingegni, di che non fu mai sterile questa terra. Non sarei stato ambizioso di aprire il labbro in Arcadia (1), di cui l'origine, la dignità ed i fasti tutti sono cari e pregevoli tanto,

che vanno ricchi di rinomanza nel mondo letterario; al cospetto di un' adunanza ragguardevolissima, e fra arcadi degnissimi di ogni considerazione. Nè infine avrei saputo immaginare di sedere ad un posto eminente e difficile, ove stettero uomini meritevolissimi, dignità somme ed autori rinomati come un Gravina un Metastasio, un Maffei, un Zappi, Cesarotti, un Monti, un Perticari.

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Ma è piaciuto al Custode generale ed al savio collegio d'invitarmi a tessere una prolusione, al che non ho saputo, nè potuto sottrarmi; sicchè posta da banda la sfiducia di me stesso, ho tosto ubbidito. Però qual cosa verrò a dire, che sia se non degna, almeno accettevole alla sapienza loro, o signori? Rammento che Plinio chiamava fortunati coloro, a quali gli dei concedevano il favore o di fare cose degne di essere scritte, o di scrivere cose degne di esser lette. In me nè l' uno, nè l'altro favore. Solo l'indulgenza e la generosità di coloro che mi ascoltano potranno rendere comportabile il fatto mio, al quale mi sono applicato nel corto tempo, da che mi ebbi l'invito, e pel breve spazio, che mi è stato segnato a dire.

Le belle arti offrono vasto campo ad ogni dicitore. Il ragionare di queste non nuoce al tempo presente, e può giovare all' avvenire. Da queste sfuggono le tumultuanti passioni, poichè la espansività del bello non prende albergo ove covano turbinosi pensieri. In esse trovano diletto e soddisfazione gli artisti e gli amatori, specialmente in questa città eterna, ov'ebbero sempre decorosa vita e lieto successo. Adunque mi verserò con gran piacere sulle

belle arti, analizzando in prima, ma brevemente, le varianti opinioni sull' origine loro ; indi senza fermarini per quanto si dovrebbe a descrivere l'andamento che qui si ebbero nei tempi andati, scorrerò quello che felicemente vi si ammira presentemente, e le cagioni di tanto prospero successo.

Dichiaro però che io non intendo tener parola dell' eloquenza, nè della poesia, nè della musica, arti principi e sublimi, con molto vanto esercitate in questa metropoli. Sono ben noti ad ognuno i nomi degl'illustri, che sui pergami, sulle cattedre e nelle orchestre le onorano. Ma essendo mio scopo di trattare di quelle soltanto, di cui Roma tiene un primato esclusivo, cioè della pittura, della scultura, e dell'architettura, io fermo a queste il mio ragionamento. Se non riuscirà adorno di peregrine cognizioni, varrà almeno, io spero, a dimostrare quanto amore e rispetto io senta per questa città santa, maestra di ogni virtù, e quanta considerazione porti alle arti ed agli artisti, con parechi dei quali mi stringono eziandio vincoli di ́parentela; sicchè col mio dire rispondo alla bella massima del grande oratore latino, la quale non può non tornare sempre piacevole e cara alla memoria degli uomini: Parentibus et patriae nos primum natura conciliat.,,

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L'origine delle belle arti è involta nelle tenebre, ma furono certamente coeve dei bisogni dell'uomo, progredirono a seconda delle risorse, del lusso e dei fasti suoi, e furono indigene di ogni luogo. Io non dissento dal parere di coloro, che ne

guardano il primo successo in oriente ; ma non posso sottrarmi alla ragione, che presso popoli diversi dovettero prosperare, quantunque in vari modi, poichè uno fu il soffio animatore della creazione, ed una la pasta dell' umana creatura; nè posso essere tanto timido amico alla verità da non confessare quello che ragguardevoli archeologi ed amatori delle cose patric han detto, cioè che nel Lazio e presso gli etruschi maggiormente si coltivarono con intelligeuza, quando non ancora costoro avevano dovuto ricevere prossimo insegnamento nè dai popoli di Asia, nè da quei di Affrica, e quando neppure alcuna cosa avevano attinta dai greci, come dimostra uno stile tutto proprio della più remota età.

Avvi però chi abbagliato dalla sublimità e dalla copiosità de lavori de' greci, non che dalle grandiose opere degli egizi nelle piramidi specialmente, accenni a concedere a questi popoli non solo l'eccellenza nelle arti, ma anche l'origine loro. Vorrei, se potessi, piegare a tali credenze: poichè in effetto toccanti e sorprendenti furono le produzioni cartistiche di quei popoli: ma mi è uopo il dire, che chi si rimane forte in quella opinione, si addimostra quasi ammaliato dalla perfezione de primi, e dalla grandiosità de' secondi, e trascurando una fina consideraziouc, e più profonda analisi sulla comune perfettibilità umana, svia da una bella verità cioè che le arti furono lo slancio di ogni popolo premuroso di sovvenire ai bisogni della vita, di garantirsi dagli eccessi delle stagioni, di ornarsi e di abbellirsi secondo i trasporti del cuore e della fantasia, e di sfogare il genio ed il gusto proprio

secondo i mezzi, la latitudine geografica del paese e le condizioni tutte dei tempi e de luoghi. Ammessa questa prima verità, ammetterà anche la seconda: cioè, che quando abbiasi vaghezza di ricercare la culla delle belle arti, la si dovrà riguardare in oriente, e precisamente nell' Asia, poichè i popoli di quella regione le gustarono da epoca si remata, che non ancora erano saliti a molta grandezza gli egizi, nè nati erano i costruttori delle piramidi, nè ancora si sapeva cosa alcuna dei greci.

Tralascio la esistenza dell'antichissima città Enochia, la cui fondazione si rapporta ad Enoch primogenito di Caino, la quale comunque formata si fosse, mostra sempre come anche le prime creature si occuparono delle arti in oriente. Tralascio il ricordare di Ninive, di Babilonia, e di qualunque nozione che siaci pervenuta degli antichissimi popoli orientali. Tralascio finalmente le tante variate condizioni naturali, civili e morali, che a vicissitudini diverse fecero soggiacere le arti, e che in maggiori tenebre gittarono la cognizione della origine loro. Ma potrà mai opporsi, che ove visse in prima l'uomo in dolce clima, e fra amene contrade ivi ebbero ad affacciarsi tosto le arti, e che perciò l' oriente abbia dovuto precedere l'occidente, quasi armonizzando il nascere al tramontare del sole, come quello che fu il primo paese abitato dall'uomo? E la lussureggiante architettura orientale, e le dolci combinazioni delle tante variate curve, intromesse nelle modanature non danno forte argomento a credere, che presso quei popoli erano le belle arti, benchè nel proprio gusto, di assai remoto e dili

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