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stolido o vituperato come traditore, persuadetevelo, l'opinione pubblica parlerebbe tutt'altro linguaggio da quello che ordinariamente le viene attribuito.

E l'abbiamo veduto in Roma ove, or fa poco più di un anno, la tracotanza del piemontismo, coll'audacia di dimostrazioni e schiamazzi, fece credere per un momento ai Romani attoniti di amare ciò che abborrivano, di abborrire ciò che amavano. Onde non mancò una mano di giovani, gli uni scapati, gli altri protervi, alcuni anche pazzamente generosi, ma tutti, secondo l' età giovanile, fanatici ed imprudenti, che corsero a comprarsi con non pochi patimenti una buona lezione, ond' erano già rinsaviti prima che giungessero ai confini. Gli emissarii piemontesi parvero per un momento padroni del campo. Ma che? Penetrato vivamente del sentimento cattolico e conoscitore accorto del vero sentimento del popolo, sorse appena, parlò ed operò, spargendo per ogni dove i semi del vero, un drappello di generosi ed impavidi,

E l'incanto cessò, sparir le larve;

e il popolo s'accorse che siamo Romani; e il piemontismo divenne ancor più ridicolo che scellerato; e per raggranellare quelle sue firme, che prima si vantavano a migliaia, si trovò ridotto al misero mestiere dello scroccone, del falsario e del cerretano o alla spietata lama dello stiletto or minacciato, ora adoperato. Vedete quel che può cotesta guerra da bersaglieri mossa con coraggio, adoperata con accortezza ed assiduità, e sostenuta con perseveranza. Oh se risolutezza e coraggio pari al romano, se vero amor di patria, se coscienza incrollabile nel dovere, se amore della Chiesa e della fede avessero, in tutte le maggiori città dello Stato, raccolto un drappelletto consimile, come oggi la trista e dolorosa esperienza incomincia a destarlo; se da loro avesse imparato il popolo a prevedere utilmente gl'immensi guai che oggi, tanto più amaramente quanto più vanamente, per ora, rimpiange; se quegli affetti al Re Pontefice, che oggi accendono fuochi ed alzano bandiere di contrabbando, avessero allora altamente acclamato al Principe legittimo, e protestato contro l'usurpazione, avrebbe questa potuto vantare quel mendace suf

fragio unanime da cui si disse chiamata a consolare le afflitte popolazioni? E queste popolazioni medesime vedrebbono elleno adesso ramingare, pericolanti per le montagne, i loro figli coscritti, mentre F'artiglio dell' esattore va spolpando l'impoverita famiglia e la cadente vecchiaia dei parenti orbi ed affranti?

Ma qual pro di rimpiangere gli errori passati? Perchè non volgere l'attenzione al presente? In questo momento stesso, mentre I'Europa attonita sta aspettando, da non sa qual futuro e ignoto avvenimento, i suoi destini, quanto potrebbe operare un vero amor di patria e di religione, anche ammettendo ad hominem (salve sempre alla verità le sue ragioni) quel diritto novello con cui si pretende oggi guidare o piuttosto carrucolare a viva forza le deboli e discord nazioni! Riflettetevi di grazia, lettore, mentre noi svolgiamo brevemente il nostro pensiero.

I dømmi del nuovo diritto portano che ogni popolo è padrone dei propri destini ed appoggiato sopra tal principio, un branco di mestatori, che sè dicono il popolo, piatisce al cospetto d'ogni principe, scongiura o compra ogni gabinetto per ottenere una unità che toglie a tutti i popoli italiani la loro autonomia, per soggiogarli al carro di un proconsole subalpino. Finchè costoro furono soli a schiamazzare, qual meraviglia che i gabinetti europei, cui non compete l'ubiquità divina, abbiano potuto fingere almeno di credere esser voto universale di tutte le antiche autonomie quello di pochi ambiziosi, che smaniano di grandeggiare a spese dei loro concittadini nell'unica metropoli di un vasto impero italiano?

Fortunatamente un popolo ancora intero e semplice nelle originali sue faltezze natie, visto correre il sangue in nome della umanità udite in nome della libertà incioccar le tatene, veduto dal domicilio inviolabile sbandirsi a migliaia i cittadini, e per proteggere la religione assassinarsi Vescovi e Preti; mirando, per argomento ancor più sensibile, i figliuoletli volgersi al padre e domandar del pane, di quel pane che testè mangiavano si copioso e tranquillo all'ombra dei loro aranci, dei loro ulivi; quel popolo si risenti ad un tratto, protestò allamente, con quel linguaggio dei fatti che unico gli rimaneva, per traversare la nebbia di un giornalismo compro e mentitore;

con quel linguaggio dei fatti che solo potea farlo udire e comprendere. Ed ecco repentinamente cangiata in molti punti, ove la buona fede e l'umanità sopravvivono, l'opinione degli uomini di Stato, ecco dubitarsi dei suffragii unanimi accellati prima per fallo innegabile; ecco commuoversi le viscere umane di quei principi che pareano insensibili alle vere grida di dolore d'Italia; ecco tentennare sul loro scanno di luogotenenza i Proconsoli subalpini, sulla scranna di presidente il Ricasoli, sullo stesso suo caval di battaglia l'inferocito Cialdini; e la rivoluzione italiana gridar soccorso e allarmi alle rivoluzioni sorelle. Donde mulazione si subitanea se non dalle proteste dei popoli attestanti una pubblica opinione contraria all'usurpatore ? Opinione universaleggiata in essi dalla vivacità dell' amor patrio, dal dolore dell'autonomia perduta, dall' orrore dell' empia persecuzione e dei sacrileghi attentati di un usurpatore senza lealtà, senza pudore, senza compassione?

Lungi da noi il provocare altri popoli a disperati consigli. Ma se quel coraggio, con cui i popolari risentimenti delle due Sicilie affrontano le palle piemontesi, si adoperasse dalle altri genti italiane. nel firmare almeno, con migliaia di nomi rispettabili, una protesta ai Sovrani europei, contro quella fazione che, salita al trono, comprime ogni libero opinamento; se si mostrasse l'assurdità del supporre che tante grandi città, tanti popoli indipendenti vogliano avvilirsi a quella condizione di province a quell'assolutismo di codice, a quella tirannia di fucilazioni, a quella universalità di sospetto con cui le governano i proconsoli piemontesi; credete voi che questo vero suffragio universale, incorporatosi in firme visibili ed innumerevoli, non otterrebbe dai Gabinetti uno sguardo almeno politico, da principi generosi un sorriso di speranza?

Non basta: il diritto novello non concede ai popoli il suffragio universale, se non perchè li vuole (mentitore!) arbitri dei loro destini. Sì, eh? Tocca dunque a noi decidere delle nostre sorti? Ebbene, sappiatelo, Augusti, quali che voi siate, che deciderete un giorno delle sorti d'Italia: se la fazione che vi tradisce, vi grida in tutti i toni non esser noi una greggia da gittarsi non volente fra gli arligli di un tiranno (che così da costoro si appella ogni principe,

anche il più innocente, il più caro, il più venerato, per cui tutto un popolo in armi affronta la morte); e noi vi diciamo che non siamo greggia da gittarsi in balìa ad un branco di congiurati ambiziosi e cupidi che fanno strazio ugualmente e del privato e del pubblico avere. Fummo e vogliamo essere autonomi: e se con quel potere, che ai grandi concede la forza, voi darete l'autonomia nostra, misera preda, alle ingorde canne di questa fazione; noi protestiamo fin d'ora altamente, noi riserviamo quelle ragioni che dal nuovo diritto ci si concedono, risoluti a farle valere appena cessi quell'incubo dell'oppressione, che già vacilla ai tremiti del Vesuvio e che verrà meno ben presto sotto il soffio assai più potente della divina vendetta.

Oh sì, quando, fondati nel proprio diritto, tutti i popoli usurpati della penisola parlassero riverente, ma fermo, il linguaggio della giustizia e dell' onore, prima ancora che i principi rispondessero assentendo, vedreste balenare incerta e palpitante la scellerata fazione, che incomincierebbe a comprendere la verità pubblicata testè dal D'Azeglio, non fabbricarsi l'unità d'Italia a fucilate e bombe.

Ma come giungerà mai la pubblica opinione a prendere così il potente e terribile, ma vero, suo linguaggio? Lo dicemmo altra volta; la pubblica opinione si forma da centinaia, da migliaia, da milioni di opinamenti isolati e personali. E queste migliaia, questi milioni di opinamenti, chiusi prima e quasi inconsapevoli di sè stessi, allora si pronunziano e si ravvisano quando pochi uomini coraggiosi e leali osano spiegare ad alta voce quel sentimento che ciascuno dei timidi va rugumando in silenzio. Parlisi dunque; chè in verità sarebbe bella che si potesse conoscere la pubblica opinione, quando essa codardamente si nasconde e tace. Che colle grida possa fingersi un'opinione pubblica che non è, l'intendiamo: ma che una pubblica opinione, anche vera, possa ottenere nome di pubblica tacendo, questo non si può davvero intendere in niun modo. Parlisi, ripetiamo; ed ecco un bel campo di battaglia ai coraggiosi, usare francamente i loro diritti, pronunziare arditamente le loro opinioni.

E credete voi che i nostri proconsoli ci lasceranno parlare? Parlare a stampa non mai: lo sanno i periodici conservatori. Ma appunto per questo noi stiamo parlando di quella battaglia alla spicciolata, che senza mai altelarsi a giornata campale, spara ad ogni

incontro ora una sentenza di verità, ora un fulmine contro il sofisma, ora una derisione contro la boria dei tiranni, gra un rimprovero contro la codardia dei timidi. Se una legione di questi bersaglieri, come da lungo tempo sta battagliando in Roma, così in ciascuna delle principali città s'arruolasse e s'avventasse al cimento, che sì che la causa di Dio mostrerebbesi ben presto qual' ella è causa del popolo, e la voce del popolo voce di Dio.

Animo dunque Italiani: che il Rimedio è in pronto; tocca ora a voi di operare senza tema, di far sì che il vero desiderio del popolo si mostri evidente all' Europa e disinganni i creduli che vanno ripetendo tuttora doversi lasciare l'Italia agli Italiani, volontà degli Italiani essere il sacrifizio di loro autonomia, l'universale schiavitù sotto il Piemonte, e per conseguenza l'abolizione d'ogni dominio, d' ogni autorità, d'ogni indipendenza pel Capo Augusto della Chiesa Cattolica. Tale è la prima guerra da contrapporsi all' accanimento personale dei nemici di Dio.

Ma la costoro potenza allora principalmente diviene terribile e pericolosa alla società dei buoni, quando, non più spicciolata nelle persone, ma organata in numerosa e ordinata falange, combina ad un solo fine strategico i furori di tutte le logge, le vendite, i club, icomitati, tutte insomma le congiure che per ogni dove si ordiscono contro la società e la Chiesa. Qui sta principalmente il gran pericolo, il cui riparo dicemmo difficilissimo nelle presenti condizioni del mondo. Giacchè, come opporsi all' invasione di quell'opinione fittizia che forma tutta la forza dei settarii? Dove trovare il coraggio che ne affronti la maldicenza e i pugnali? Dove il segreto che serva di contromina ai tenebrosi intrighi dei settarii? Dove un organismo di resistenza che si stenda a tutti gli angoli della terra, che si protenda a tutti i tempi avvenire, tenendo in iscacco perpetuamente la potenza dei cospiratori? Dove trovarlo? Nel cattolicismo rispondemmo: e ci pare che questa risposta sia quasi un assioma per sè evidente; non potendosi avere una giusta idea della Chiesa e dei settarii senza comprendere immediatamente essere coteste due società, anche naturalmente considerate, l' una il contrapposto dell' altra, specialmente rispetto al nostro assunto.

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