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« Venendo a morire mi serrò la mano, e fra le più vive aspirazioni « a Gesù e Maria, mi diceva: Scrivi ai miei genitori che gli ho « sempre amati. L'ultimo suo bacio, ch' io ho ancor sulle labbra, <«<l'ho ricevuto per voi, padre e madre desolati; e per voi l'ho ba<«< ciato in fronte al suo spirare, e gli ho chiuso gli occhi in luogo « vostro colle mie mani.

« Perdonate, Marchese; ho ancora.la testa assai debole e confu-. «sa per la ferita, non posso aggiugner di più. Sono testimonio di << tanti dolori e veggo sì gran forze concesse alla preghiera, ch' io « spero che vostro figliuolo ne avrà ottenuto di molte da Dio per « conforto dei vostri cuori sì profondamente angosciati ».

Monsignor Sacré, Cappellano de' Francobelgi ha un' altr'anima eroica a porci sott' occhio nel giovane Zuavo Giulio d'Anselme de Puisaye, la cui forza d'animo egli ammirò altamente, ancora ch' ella fosse così comune in quella fervida gioventù piena di fede in Dio e di coraggio nel proprio valore. Il gentiluomo de Puisaye non avea che diciannov'anni, ed era di gracile complessione; tuttavolta l'energia dell'animo bravava in lui la fievolezza della persona, e nel reggere alla dura vita de'campi emulava i più robusti. Se non che ferito nella battaglia da quattro palle nel tronco e d'una nella gamba cadde sul terreno, e la copia grande del sangue che versava avendolo esanimato, giacea senza spiriti in un mortale deliquio.

I Piemontesi passandogli accosto, e riputandolo già morto, non l'accopparono coi calci degli archibugi, come fecero ad altri moribondi. Poco appresso riavuti per avventura alquanto i sentimenti, l'audace de Puisaye, il quale aveva in orrore di cader nelle mani degli scomunicati, raccolte le forze al cuore, tentò di rizzarsi, ma invano. Allora alzò gli occhi verso il tempio di Loreto, invocò il nome di Maria, e così boccone, trascinandosi a grande stento sul ventre, potè dilungarsi dal luogo, ove cadde, per ben dieci minuti. Come Dio volle, s'abbattè in tre suoi compagni Zuavi, i quali con somma carità levatoselo sulle braccia ne lo portarono a salvamento a Loreto, ov'ebbe anch'egli, come Misaele de Paz, la consolazione d'essere allogato proprio in faccia alla basilica della Santa Casa, e d'esser curato da quelle angeliche Figlie della Carità.

Per giugnere a Loreto vi corse una buona mezz'ora, e l'intrepido Puisaye, col braccio avvolto al collo del compagno che lo portava, in tutto quel tempo non si lasciò uscire nè un guaio nè un sospiro di bocca. Il che fece stordire i tre Zuavi; ma quale non fu nello spedale lo stupore degli astanti nel vedere quell'esile giovinetto fra gli acutissimi dolori del frugare del tirapalle nel solco delle ferite, non solo non dare un grido, ma neanco un serrar di denti o un aggrollare di ciglio, come se i cerusici operassero in un corpo morto? Ivi è chiaro come il vigore della volontà sia di tanta possanza, che se non ispegne i dolori, sa nondimeno tollerarli invitto quasi non li sentisse; il che è proprio delle anime grandi: in Giulio poi, oltre la magnanimità, operava una fede e un desiderio si acceso di patire in unione dei dolori di Gesù Cristo, che in mezzo agli acuti suoi spasimi udendo un soldato alemanno rammaricarsi fortemente di sì lungo e crudo angosciare, l' esortava dolcemente alla pazienza col ricordargli la passione del nostro divin Redentore. Il buon Giulio de Puisaye dopo esser giunto agli estremi, come scrive suo padre, accorso di Francia ad assisterlo, fu per ispeziale protezione di Maria Vergine, volto a guarigione, ed ora è vivo e sano.

Quel vigor d'animo, che ammirammo in Giulio de Puisaye, ci fa stupire eziandio in Olderico; il quale, come vedemmo nella battaglia di Castelfidardo, fu colpito da una palla nel sovraciglio, e in quel primo stordimento cadde rovescioni nel fosso. Ivi, mentre i suoi compagni combattevano da eroi nella cascina delle Crocelle, e teneano a bada la battaglia in quel punto, Olderico dopo alcun tempo si risenti; poichè nel cadere avendo la parte ferita appoggiata sul suolo, la terra soffice s'imbebbe del sangue, e fattogli crosta attorno, lo ristagnò; appena rivocata l'anima ai sensi, Olderico guardossi intorno come uno smemorato, e non sapea dove si fosse ma po'stosi a sedere, e recata la mano subitamente al capo, sentì, nel fiero dolore che lo cruciava, quel pane di terriccio turantegli la piaga: il che conoscendo egli di sommo vantaggio, lo sostenne della mano, е provò di rialzarsi.

Olderico era grande della persona, e s'avvide che stando in piedi potea esser veduto dai Piemontesi che correano i dossi del monte;

perchè chinatosi, cominciò prima lentamente, indi con passo alquanto più sollecito a secondare il corso del fosso verso la riviera del Musone. Guadollo a stento, e veduta laggiù fuor di mano, sotto la china di un monticello una casetta d'agricoltori, ivi, essendo già in sull' imbrunire, cercò s' egli potesse ricoverare per almeno morire, se piacesse a Dio, in mano di cristiani.

In questi due capi noi parlammo soltanto d'alcuni pochi eroi, secondo che i nomi loro ci caddero sotto gli occhi; mà chi volesse toccare, eziandio a poche bolte e ricise, il ritratto delle valentie e delle eccelse virtù di tanti altri giovani Zuavi, morti o feriti in quella crudele giornata di Castelfidardo, non avrebbe colori vivi e robusti da tanto tema. Ella non è impresa da omeri deboli e fiacchi, e il mondo cattolico attende una penna nobile e gagliarda di concetti e di stile, che in tempi meno improbi de' nostri metta nel suo chiaro lume il trionfo di tanta Fede, e trovi intelletti e cuori capaci d' intenderla, e d'ammirarla.

Noi non favellammo in iscorcio che di pochi Bretoni, siccome concittadini di Olderico, e di sol qualche altro gentiluomo francese, dove a dir vero avremmo avuto larghissimo campo a dire d'altri morti e feriti, e fra questi di que' generosissimi che appena guariti ritornarono novellamente a Roma, per difesa del Santo Padre, insieme con tanta florida gioventù, che, non atterrita alla strage de primi eroi, corse volonterosa ad offerire la vita nelle battaglie, che gli empi minacciano di continuo ingaggiar contro la Chiesa.

Nè fra i morti e i feriti di Castelfidardo mentovammo punto i Zuavi belgi, fra i quali avvi nomi insigni, prodezze eroiche e virtù ammirande. Se Giulio Cesare diceva: Gallorum omnium fortissimi sunt Belgae; i nostri Zuavi mostrarono all' Europa meravigliata che nel Belgio l'antico valore non è ancora spento. Buona parte de' Belgi, combattendo da leoni, rimase sul campo di Castelfidardo, e molti di quelli che sostennero con tanta audacia l'assalto delle Crocetle, appartenevano a quella bellicosa nazione.

Per compiere questo gran quadro di dolori e di gioie, avremmo dovuto parlare a lungo del duro governo, che la crudeltà de' capitani vincitori fece di sì illustri feriti. Noi abbiamo sotto gli occhi

documenti che nel leggerli suscitano la più alta indignazione, e ci farebbono arrossire d' essere italiani, se non si considerasse, che le Rivoluzioni sono sempre crudeli, e questa è crudelissima, perchè ha per nemico diretto Gesù Cristo medesimo, il suo Vicario, e i suoi fedeli. I Campioni di Castelfidardo aveano il delitto d' aver combattuto per Dio e per la Chiesa, e agli occhi delle Rivoluzioni eran degni d'ogni reo trattamento.

Iddio però, che ama di paterno amore i suoi eletti, concesse a que' miseri la consolazione dei dolci conforti e delle amorose sollecitudini con che furono accarezzati in Iesi dall' Eminentissimo Cardinal Morichini, in Osimo dall' Eminentissimo Cardinal Brunelli Vescovi di quelle città, e in Loreto da Monsignor Magnani Vescovo di Loreto e Recanati. Non vi fu gentilezza, cortesia e finezza squisita di pastorale benevolenza ch'essi non usassero verso i campioni del Vicario di Cristo, per addolcire le loro amaritudini, e soavizzare le molestie, i tedii, le angosce, che li circondavano in quei covi d'ogni miseria.

Deh! come il Cardinal Brunelli e Monsignor Magnani, non potendo reggere al dolore di tante crudeltà, ingiustizie, fellonie e persecuzioni della Chiesa furono rapiti alle loro greggi, toltici da immatura morte! I Zuavi moriano di ferite nelle loro mani, martiri di Dio, uccisi col ferro dagli cmpi; questi due luminari della Chiesa Romana morirono martiri anch'essi per le ferite dell'anima, che sono un coltello più penetrante ancora della punta delle baionette e del taglio delle spade 1.

1 Tutti i particolari accennati nell' Articolo sono attinti dal Précis Historiques di Bruxelles, dalle lettere dei Zuavi, é da testimoni oculari da noi interrogati.

RIVISTA

DELLA

STAMPA ITALIANA

Pro Caussa italica ad Episcopos catholicos, Actore Presbytero catholico. Florentiae, Typis Felicis Le Monnier. MDCCCLXI.

Un opuscolo in difesa della così detta Causa italiana, non può certamente parer cosa nuova nel nostro tempo, che n'è sì fecondo. Ma che un tale opuscolo sia dettato in latino, ed in un latino abbastanza elegante, se non nello stile, che è tronfio, incedente sui trampoli, almeno nella dizione quasi sempre gastigata; cotesto è fenomeno nuovissimo e tanto, che noi non ricordiamo di averne visto un somigliante, da che la causa italica è cominciata ad agitarsi. Pure quel fenomeno trova naturalissima spiegazione nell' intento dell'Attore od avvocato; il quale, volendo patrocinare quella causa presso i Vescovi cattolici, mal si sarebbe ad essi rivolto in lingua diversa da quella del Lazio, che è l'universale della Chiesa. Anzi questo medesimo intento può dare altresì ragione di quel prolisso ed importuno citare la Scrittura ed i SS. Padri con testi, che coprono intere pagine, senza che il più spesso abbiano nulla che fare col soggetto principale della difesa, ed avendo anche talora l' incomodo d' infermarla e di contraddirla. Ma all' Episcopato cattolico potrebbe mai parlarsi altrimenti che in latino e citando testi biblici e di Padri greci o latini ?

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