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erano maggiori. Il Campana però, affine d'evitare il concorso dei creditori, che l'avrebbero ridotto al nulla, indirizzò per mezzo del suo procuratore una istanza molto calda al S. Padre, supplicandolo a torre il sequestro della proprietà stabile, aggravata d'altre ipoteche, e dar facoltà al Monte di accettare il Museo in saldo di scudi novecentovento mila, a quanto ammetteva che il proprio debito ascendesse.

Molto si esitò sopra la convenienza di concedergli una tal grazia, dimandata con molta insistenza: ma la considerazione di poter così evitare interminabili liti coi tanti altri creditori del Campana, diede l'adito d'aprire delle trattative. Falte quindi soltanto alcune modificazioni alla proposta, in tutto il resto il suo desiderio fu accolto, e il pubblico istrumento soltoscritto dal Procuratore del Campana il 23 Aprile 1859, trovasi registrato nell'Archivio notarile del signor Guidi. Riparatosi così in parte ai danni cagionali al Monte, l'inesauribile benignità del S. Padre commutò il resto della pena, che dovea ancora scontare il Campana, coll'esilio dagli Stati Pontificii.

Divenuto il Monte possessore legittimo del Museo, e non potendo conservarlo per la necessità di riparare le gravi perdite sofferte, nè consentendosi all'Erario Pontificio, così ingiustamente spogliato dalla rivoluzione, l'acquistarlo a conto dello Stato, molto più che moltissimi fra quegli oggetti si trovano in altri Musei di Roma; bisogno annuire alla vendita: ed una parte ne fu realmente acquistata dal Governo russo, una parte dal francese.

Così col provvido temporeggiare, e col procedere legalmente e milemente si è punita la malversazione pubblica, si è salvato il Monte da certa rovina, si è ricuperata una gran parte del denaro sottrallo, si è infine salvato lo stesso reo dalle più fatali conseguenze delle sue colpe.

S. XXIV. Come il Liverani, pretendendo di riferire la storia di questo processo, abbia invece scritto un romanzo tutt'altro che storico.

Fatta l'esposizone genuina dell' accaduto tra il Monte ed il Campana, ci sarà agevolissimo il venir confutando ad una ad una le fal

sità addensate nelle due pagine del Liverani. Saremo scrupolosamente esatti. Il racconto liveranico sarà trascritto per disteso; interrompendolo soltanto dove ha bisogno d'essere corretto. Non è nostra la colpa se le correzioni saranno un po'frequenti.

Il Marchese Campana, Direttore Generale del Monte di Pietà, sotto l'usbergo di due rescritti del Cardinale Antonelli allora tesoriere, e del Ministro Galli, spilluzzicò per 20 o 30 mila scudi il patrimonio dei poveri in quel sacrosanto Istituto.

Tre rescritti arrecò in suo favore il Campana: uno per 10 mila scudi del Card. Tosti nel 1838; uno per 5373 scudi del Card. Morichini nel 1847; uno per 20 mila scudi del Pro-Ministro Galli 1854. Il Cardinale Antonelli non ha nulla che fare in tal faccenda: non fece al Campana nessun rescritto: non ne fu mai citato neppure il nome dal difensore. Nè i tre rescritti furono usbergo al Campana per spilluzzicare il patrimonio dei poveri; perchè non gli davano facoltà che di prendere in prestito dal Monte una somma determinata, dandone le dovute guarentige, e assicurandone per conseguenza la restituzione. Anzi il tribunale provò che una parte non leggera dell' appropriazione dolosa era stata già consummata dal Campana, quand'esso ottenne dal Galli l'ultimo permesso dei 20 mila scudi.

Baldo del buon riuscimento fece man bassa del resto, sin quasi ad un milione. Monsignor Ferrari, tesoriere e superiore diretto del Monte, era conscio della frode.

Non era conscio della frode, ma tosto che la conobbe cercò di ovviarvi. Mons. Ferrari sul finire del 1854 fu nominato Tesoriere e Ministro delle Finanze; sul finire del 1855 cominciò ad avere qualche sospetto sopra la fedeltà del Campana; e subito richiese al cassiere del Banco del S. Monte lo stato di cassa. Questo gli fu presentato il 1.o Dicembre di quell'anno, e solo allora il suo sospetto diventò certezza: solo allora divenne consapevole della frode, e potè cominciare a cercarvi un riparo, e procacciò di porvelo immantinente.

Avuto a sè il Campana gli diede un forte ammonimento, ritirando da lui una scritta, nella quale si dichiarava debitore del denaro espilato, che poi in suo luogo fu chiusa dentro la vedova cassa del tesoro.

Falso che da Mons. Tesoriere si ritirasse la scritta; questa già erasi precedentemente deposta in cassa dal Campana. Ma perchè essa non era nè chiara nè sufficiente a tutelare gl' interessi del Monte, nè bastava a dare un mezzo incontrovertibile di prova contro il Campana; Mons. Tesoriere volle avere una seconda e formale dichiarazione del denaro colpevolmente da lui appropriatosi, e l'ebbe come già vedemmo, ed essa costituì poscia un primo elemento del giudizio.

Era nelle facoltà del Tesoriere di venire a questo accordo? Ovvero il Campana per quello scritto cessava di essere in fraude e diveniva contraente?

Quale accordo? Un amministratore frodolento, che colpito in flagranti è costretto a confessare in iscritto l'usurpazione consummata, e per salvarsi dal rigore della legge tenta di coprire il fallo con una promessa di restituzione, dicesi da voi contrarre un accordo? Più savio fu l'avvocato del Campana, quando addusse per difesa di lui che le premure usate da Mons. Tesoriere per tutelare il Monte fossero una abolizione di delitto; più savio, perchè non si fondò sopra la dichiarazione dell' imputato, che non provava nulla a favor suo, ma sopra le disposizioni del suo Superiore. Ma non fu più esatto nè più veritiero; perchè l'abolizione del delitto, trattandosi specialmente di azione pubblica, non può essere tacita, ma dev' essere espressa; nè può emanare dal Ministro, ma deve emanare dal Sovrano. Finalmente fosse pur corso un accordo, fosse pure abolito il delitto; non potea ciò riguardare che quanto era cognito e palese. Pretende forse il Liverani che vi fosse anco un accordo, un' esenzione dalla legge sull'incognito e l'occulto? Ora le tre sottrazioni, ammontanti a 440,900 scudi, si scuoprirono in seguito nel corso del processo. Vi può essere maggior torto dalla parte del Campana, maggior ragione dalla parte del fisco, e per conseguenza maggiore irragionevolezza dalla parte del Liverani?

About, IL PAPA RE, pag. 116 e seg., narra che Campana sottrasse prima dell'Aprile 1854 fr. 100,000: dal 12 apr. 1854 al 1 Dic. 1856 fr. 2,647,750: dal 1 Dec. 1856 al 7 Nov. 1857 fr. 2,587,200. « Il tribunale lo condannò a 20 anni di lavori forzati. A questo conto i ministri che l'avevano lasciato fare merita

vano si mozzasse loro la testa. » Chi oserà replicare a questa conchiusione?

Piuttosto dimanderemo al temperante, al cauto Liverani com'egli abbia osato di far sua una si stolida conchiusione? I Ministri han lasciato fare al Campana? E che potevano essi fare di più o di meglio nelle angustie d'ogni genere, onde erano stretti in quel tempo? II Monte era oppresso da obblighi passivi per tre milioni e mezzo di scudi, tutti esigibili o subito o a brevissime scadenze, senza denaro in cassa, senza effetti realizzabili in breve tempo. Il tesoro dello Stato era esausto. Dunque o mandare a rovina il Monte e con lui migliaia di persone: o tollerare per qualche tempo il Campana, circondandolo delle cautele che fossero conciliabili col secreto necessario, il quale solo impedì che si facessero provvisioni si efficaci, che rendessero impossibili novelle espilazioni. Chi ha letto la genuina esposizione dei fatti da noi recata innanzi vedrà, che la cautela appunto dei Ministri è quella che ha salvato il Monte, salvato i creditori del Monte, salvato il dritto alla legge, salvata la convenienza e il decoro del Governo. Che l' About non sia suscettivo di capir ragione, quando trattisi di scoccare un frizzo od una ingiuria, lo sapevamo: ma che ciò dovesse valergli il merito di essere citato da uno scrittore, che affetta gravità nello scrivere e zelo per la giustizia nell' indagare i fatti, supera ogni espettazione, e tradisce ogni mascheramento.

Intanto Monsignor Tesoriere vieta agl'impiegati del Monte di consegnar mai più le chiavi della cassa al Direttore, mentre d'altro lato licenzia il Campana a cercar denari a prestanza da una ditla fallita del Piemonte: lo che partorisce novelle perdite pel luogo pio.

Quanto poco ci vuole per falsar la storia! basta una semplice inversione di date. Monsig. Tesoriere dette la commissione di contrarre il debito al Campana sul principiare del 1855, e non sospettò di frodi nè le scoprì, se non molti mesi dopo, allo spirare cioè di quell'anno. Or dite la cosa a rovescio e come la dice il Liverani; ed eccovi la taccia di balordaggine e di complicità venir da sè sopra chi fu anzi accorto scopritore e severo punitore della frode.

È egli ragionevole e conseguente questo procedere?

Il procedere sognato da voi, sig. Liverani, non sarebbe stato nè ragionevole nè conseguente: ma togliete da quel procedere i vostri

sogni, le vostre inversioni, le vostre malizie, e vedrete ripiombare sul vostro capo la nota d'irragionevole e d'inconseguente, che volete appiccare altrui.

Dopo qualche anno con grande scalpito il Campana è sostenuto, intavolato processo, bandila sentenza che dichiarava autore in genere del furto ed in ispecie esserne reo il Campana nella somma di novecenta mila scudi.

Il peculato fu scoperto il dì 1 Dec. 1855; il giudizio contro il Campana cominciò nel dì 28 Nov. 1857. I due anni corsero parte fra gli scongiuri del Campana che avrebbe ripianato il deficit col la vendita del suo Museo, come industriavasi a tutt' uomo parte fra i non facili negoziati per conchiudere il prestito coi Rothschild. E se il Liverani confessa che fu grande lo scalpito per l' incarceramento del Campana, confessa appunto che i timori del Tesoriere sopra gli effetti di una repressione erano più che ragionevoli e che quindi più che ragionevole si fu il partito preso di non cominciarla, prima di avere con che pagare i creditori sbigottiti.

Tutta la sentenza è un panegirico di Antonelli, Galli e Ferrari. Ma l'avete letta o no questa sentenza signor Liveraņi? Se non l'avete letta, siete un impudente: giacchè parlate di cosa sì grave sopra la fede di calunniatori sfacciati. Se l'avete letta siete o un ignorante che non intende, o un malizioso che non vuol intendere il chiarissimo volgare di quella sentenza, giacchè in essa non vi è neppure una volta, e neppure di sbieco nominato il Cardinale Antonelli; e invece di un panegirico pel Galli vi è una semplice scusa ed una giusta spiegazione del rescritto da lui dato al Campana.

Non era tutto furlo, ma per alcune partite era manifesta la truffa e l'eccesso di mandato, del quale poi erano responsabili le persone encomiate dai giudici.

Tra il tribunale che sentenzia esservi stato furto continuato per una somma non minore di novecentomila scudi, senza che il Campana reclami da tal sentenza, ed il Liverani che dice non esser tutto furto, non è dubbia la scelta del lettore prudente, specialmente dopo le pruove avute fin ora del senno giuridico di costui. E una pruova trovasi fino in questo periodo. A chi attribuisce egli quell' eccesso di mandato? Ai Ministri certo no, perchè questi invece di

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