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e di quella delle piante. Così Ovidio descrivendo la prima formazicne delle cose:

Quum, quae pressa diu massa latuere sub illa,
Sidera caeperunt toto effervescere coelo.
Neu regio foret ulla suis animantibus orba
Astra tenent coeleste solum, formaeque deorum :
Cesserunt nitidis habitandae piscibus undae:

Terra feras cepit: volucres agitabilis aer 1.

Ma il poeta sulmonese sembra porre da senno gli astri fra gli esseri animati; nè ciò in un pagano può sorprendere : opinarono così anche gli stoici 2. Ma nè Mosè nè alcuno de' sacri Scrittori ha mostrato aderire a questa sentenza, nè la credo accettata da' più antichi Israeliti. Se l' abbracciò Filone, fu mosso a ciò da' filosofi greci, non dai sacri Scrittori della sua nazione. Se il rabbino Maimonide, vagheggiandola esso pure, la disse conforme alla legge, cioè agli scritti di Mosè, questa asserzione è affatto gratuita.

Generalmente i Padri della Chiesa rigettarono questa dottrina. Possono vedersi presso il Petavio 3 i luoghi di Eusebio Cesariense, de' santi Basilio e Gio. Crisostomo, di Teodoreto, dell'autore del libro De divinis nominibus che va sotto il nome di S. Dionisio, e del suo scoliaste S. Massimo martire, come pure de' santi Cirillo Alessandrino, Gio. Damasceno e Pietro Crisologo, ed ancora di Lattanzio e di Procopio. A questi possono aggiungersi Didimo 4, l'autore del libro De fide attribuito a Ruffino, il quale scrivea degli astri: Haec nonnulli, mentis errore decepti, animalia rationabilia esse dixerunt, quorum dementiam etiam nefarius Origenes secutus est; ed Orosio, il quale pone tra gli errori degli Origenisti: Creaturam quoque subiectam corruptioni non volentem, intelligendam esse dicebant solem, lunam et stellas, et haec non elementares esse fulgores sed rationales potestates 5. Si trova peraltro nel Pseudo-Clemente 6 la dottrina degli astri animati, nè S. Isidoro sembra alieno da essa 7. S. Agostino esitò alcun tempo intorno all'anima degli astri, ma

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3 PETAV. de opif. sex dier. L. 1, c. 12. 4 De Trinit. L. II. c. 7. segm. 87.

5 Commonit. ad S. Aug. De errore Priscillianistarum et Origenist.

6 Lib. V. Recognit. 7 De natura rerum. c. 27.

quindi affatto la escluse, come si vede e da altri suoi scritti e dalle Ritrattazioni 1. Origene stesso, che ne' commenti al vangelo di S. Giovanni arriva a sospettare che Cristo abbia patito per gli astri, neb libro De' Principii mostrasi alquanto dubbioso intorno alla loro natura.

Si allegano un luogo di S. Ambrogio ed uno di S. Girolamo, i quali possono apparire alquanto favorevoli alla dottrina di Origene 2. Ma possono e debbono benignamente interpretarsi e giudicarsi conformi alla dottrina degli altri Padri ed alla loro propria.

Ma il colpo più forte fu dato a questa strana dottrina nel quinto Concilio. L'Imperatore Giustiniano indirizzò ad esso una lettera contro gli errori di Origene, nella quale accusa Origene di demenza, per aver detto animati il cielo, il sole, la luna, le stelle, le acque le quali sono sopra il cielo; e negli anatematismi aggiunti alla lettera, questo è il sesto: Se alcuno dica, il cielo, il sole, la luna e le stelle, come pure le acque che sono sopra il cielo, essere animate, e virti dotate di ragione, sia anatema. Niceforo di Callisto riporta questi anatematismi, e li dice proferiti dal Sinodo, ossia gli accettarono i Padri del Concilio dalla epistola dell' Imperatore, e coll' autorità del Sinodo li approvarono, come attesta Cedreno.

Se alcuni fra i posteriori Scolastici, senza donare agli astri un'anima ragionevole, si sono tuttavia mostrati indulgenti verso questa sentenza 3, ciò è avvenuto perchè da un lato non la credevano espressamente condannata dalla Chiesa (non esistono intieri gli atti del Sinodo e i decreti intorno ad Origene, benchè il fatto sia storicamente provato); dall' altro pensavano, i fautori dell'anima degli astri riguardare le anime, al modo de' platonici, come assistenti e moventi i corpi, anzichè come congiunte ad essi, e parti di un medesimo tutto; e così dichiarata la lor sentenza, pareva assai avvicinarsi a quella delle intelligenze motrici, allora regnante nelle scuole filosofiche: laonde sembrava piccola la differenza, fra gli affermanti ed i neganti l'animalità degli astri, e forse più di parole che di cose. La dottrina delle intelligenze motrici de' cieli e degli astri lasciataci da' filosofi pagani, non fù, io penso, se non assai tardi ricevuta 1 AUGUST. II. Retract. c. 7. 2 PETAV. 1. c. §. 9, 11, 12. 3 V. S. THOM. Contra Gentiles II. S. p. 1, q. LXX, a. 3.

Serie IV, vol. XII.

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da molti teologi cristiani, allorchè, cessato da lungo tempo il pericolo del politeismo, tal dottrina dominava nelle scuole de' filosofi, e reputavasi opportuna o necessaria alla spiegazione de' fenomeni. Aristotile, quantunque non punto amante di miti e di poesia nelle indagini filosofiche, non pure ammette i motori intelligenti, ma trovandone ristretto il numero a 47, opinò che, a spiegare i movimenti celesti, convenisse accrescerne il numero e supporre 55 sfere, e perciò altrettanti motori, ossia intelligenze immobili ed eterne 1. Tanto malegevole era, eziandio al più perspicace intelletto, nella infanzia della scienza, e sotto l'impero del paganesimo, innalzarsi al concetto dell' unica suprema Intelligenza, il cui volere produce tutti i movimenti celesti. Non veggo peraltro che a tal sentenza facessero mai buon viso i Padri dell' antica Chiesa. Tentò introdurla in essa il famoso Teodoro Mopsuesteno, identificando queste intelligenze dei filosofi cogli Angeli ministri di Dio, de' quali ci parla la rivelazione, ma non trovo che avesse séguito.

Lungo tempo appresso Alberto Magno dichiarava insania 2, riguardare gli Angeli come necessarii al movimento de' cieli ed insegnava: Verius dicendum fuit, quod non moventur nisi iussu divino et voluntate, e tornando più innanzi a questo argomento, non solamente dichiara caeli inanimati sunt et insensibiles et ideo non moventur nisi iussu divino... et hoc (cioè almeno quod non moveantur a natura quae sit forma corporis movens) dicunt etiam alï philosophi, sicut astronomi, et Ptolomaeus et Albategni, et Albumasar, et Gaber, et alii quamplures, e giunge ad appellare error maledictus l'opinione de' cieli animati ed intelligenti; nè pare si mostri contento della sentenza di certi maestri di teologia, i quali voluerunt opiniones naturalium ad theologiam reducere, dicendo quod angeli deserviunt Deo in motibus caelorum, et quod illi ab eis animae dicuntur, e conchiude ripetendo: Nihil ita secure dicitur, sicut quod sola Dei voluntate moveantur et natura propria non contrariante motui. Questa è in vero la sola conclusione importante pel teologo. E officio poi e scopo della filosofia naturale, indagare la legge (degna di lui per la semplicità e per la fecondità) per cui la divina Sapienza ottiene cotali effetti, ed a ciò si sono con felice successo occupati i moderni scienziati. 1 Metaph. L. XII.—2 In II'Sentent. dis. 3.-14, art. 6.

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Entrato Cencio di balzo nella cucina, e veduto le carezze scambievoli dei due giovanotti, s' arrestò presso all'uscio, e stavasi a vedere che volesser dire quelle esclamazioni l'uno per l'altro; quando Olderico essendosi avveduto del primo sospetto di Cencio e poscia della sua meraviglia, gli disse -- Cencio, eccovi il più caro e sincero amico ch'io m'abbia; andiamo sotto il porticale a presentarlo al vecchio Bernardo-Ma Bernardo non era stato a bada, e venne anch'egli con tutto il mazzapicchio in mano con che accerchiava la botte. Misero un'altra fascina al fuoco per asciugare i panni al sopravvenuto, il quale a quella gran fiamma fumava come un cavallo da corsa fu fatto venir subito un buon bicchiere di vino, e rifocillossi non poco.

Allora Olderico disse agli ospiti suoi, ch'egli nella battaglia avea raccolto l'amico ferito e portatolo in collo sino al padiglione, e poscia combattendo a corpo a corpo con un gruppo di Piemontesi, fu colpito da un bersagliere di quella ferita che l'avea condotto in casa loro. Bernardo e Cencio lasciaronli al fuoco e tornarono alle loro bisogne; dicendo però a Olderico, che trattenesse l'amico, e che pel dormire si sarebbero ingegnati alla meglio.

Rimasti soli, Olderico domandò il socio di sue avventure; e quegli ne lo ragguagliò per punto, dicendogli; che era stato recato dai Zuavi a Loreto la sera stessa della battaglia, e dopo la capitolazione fu trasportato dai Sardi nello spedale di Osimo cogli altri, ove potè ammirare la carità e benignità squisita del Cardinal Brunelli verso

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di loro, ed egli ne profittò per guisa, ch'ei tiene in tutto la vita per lui Indi richiesto da Olderico se molti ne fosser guariti, rispose: che se fossero stati trattati con più umanità i primi giorni appresso la battaglia di Castelfidardo, assai più ne sarebbero usciti a guarigione, ma la poca o niuna cura avutane era stata cagione della morte di molti. Il domandò, ch'è egli avvenuto di Alfego du Beaudiez? È morto - E Gaston du Plessis de Grénédan? — È morto - E Fiorenzo Thierry du Fugeray?

È morto

Olderico era divenuto pallido, avvegnachè fosse al fuoco, ed esclamò Dio mio, che vittime elette! Che fiore di gioventù, di fede e di prodezza! E Giorgio Moinuet? E Felice de Montravel? E Paolo de Percevaux? giovani di così invitta virtù ed eccelso valore? — Morti, mio caro, morti E i due bravi cherici del Seminario di Nantes Rogaziano Picou, e Giuseppe Guérin, ch'erano d'un fervore sì ardente, e bramavano tanto di spargere tutto il sangue loro in difesa della Santa Sede e in ossequio del Vicario di Cristo, son egli usciti incolumi dal comune naufragio?

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- Eh no. Dio ha gradito i loro santi desiderii e accettato i loro voti. Sono anch'essi già Martiri in cielo. Rogaziano Picou, ferito nella coscia, fu con me nella stessa corsia e sembrava che s' avviasse alla guarigione. L'avean coricato in un confessionale rovescio, entro il quale avean fatto un giaciglietto e postovelo sopra. Parea uno di quei sepolcri terragni del medio evo, nel cui incavo risalta la statua d'un guerriero disteso, o d'un monaco in cocolla, e con Arturo de Chalus e con Giacinto di Lanascol, che poi morirono ambidue, ci facevamo le grasse risa: e il povero Picou, ch'era di sì buon umore, ci rideva anch'egli. Che vuoi? Era già uscito di confessionale, e zoppicando avvolgeasi per la corsia e meco aiutava il suo compagno Guérin, quando una mattina all'improvviso esclama --- Io ho una varice nella ferita, e il dir questo, e lo sgorgargli una fontana di sangue dalla coscia fu tutt' uno. Accorsero i cherusici per legare la vena, ma tutto fu indarno, e ci morì sotto gli occhi disanguato, invocando continuo i dolci nomi di Gesù e di Maria, accompagnati con affetti sì puri, con islanci d'amore sì teneri ed affocati, che gli si leggea la letizia brillare in viso, e gridava al Signore Sì, eccomi, Gesù mio, Redentor mio, fonte di grazia e di felicità: sì vengo a Voi,

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