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con buon beveraggio fargli portare i suoi panni a Roma presso un gentiluomo di sua conoscenza: nel tempo stesso inviò lettere in Francia a sua madre e al Duca, padre di Giachelina, nelle quali narrava minutamente i suoi casi. In quel modo passò con un tedio infinito tutto l'Ottobre sempre acquattato il dì, e uscendo a un po' di esercizio la notte, continuo all'erta di non essere spiato e sorpreso.

Era già entrato di due giorni il Novembre, e i primi rigori faceano aver caro di sedere a un buon fuoco: quel dì pioveva a dirotto e ventava forte, laonde Olderico stavasi a buona sicurtà a una bella fiamma di sermenti seduto sur una panchetta, pensando fra sè di porsi oma in viaggio pe' gioghi d'oltre al Metauro, salire per le vette della Scheggia, calare nell'Umbria, e, per iscorciatoie e valichi fuor di mano, giugnere a Viterbo. Egli era solo in cucina: il vecchio Bernardo stavasi con Cencio nel capannone a porre un cerchio alla bolte; la Cecilia e la Petronilla erano su in casa, i due putti armeggiavano in una stanza vicina intorno ai loro trastulli, quand'ecco aprire il saliscendi dell'uscio di fuori ed entrare un giovane tullo bagnato e pien di loto, il quale peritandosi chiedeva, in cattivo italiano, un po' d' alloggio.

Qual fu la meraviglia e il contento d'Olderico nel ravvisare in quel profugo il suo caro amico e compagno, ch'egli avea portato in collo ferito fuor della battaglia poco prima d'essere stato ferito egli stesso! Si rizzò d'un guizzo, saltò giù dal. focolare, e gli gittò le braccia al collo gridando Oh caro mio, io sono il tuo Olderico ! Come tu qui? Oh venisti proprio a tempo ch'io sono appunto in sull'arrischiare l'andata in Francia, e così avrò la più dolce compagnia ch'io mi potessi desiderare -

I due putti a quel concitato parlare francese vennero a far capolino, e veduti i due così strettamente abbracciati corsero al capanno, esclamando - Babbo, c'è uno che ha preso Olderico pel collo e vuol portarcelo via Cencio balzò in cucina 1.

1 I particolari narrati in questo capo son tratti dal Rapporto del Gene rale De Lamoricière, dal Récit de la Bataille de Castelfidardo et du siège d'Ancone par un Romain, dai Martyrs de Castelfidardo di Monsignor De SEGOUR e dalle testimonianze degli stessi Zuavi tornati a Roma.

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RIGNANO Avvocato I. Della Uguaglianza civile e della Libertà dei Culli secondo il diritto pubblico del Regno d'Italia — Livorno Franc. Vico 1861.

Ammoniti nella prima introduzione, non esser questo lavoro che una esposizione di gius costituito e positivo intorno la ugualianza civile e la libertà religiosa, desunto dalle leggi organiche e fondamentali, dagli atti del parlamento e dalle leggi ed istituzioni vigenti (pag. VI, VII), fummo per abbandonare l'idea di darne una rivista; sembrandoci pericoloso il sentenziare sopra le leggi, ed anche inutile il far sapere ai lettori tante minuzie intorno alla vacillante e poco cattolica legislazione di un regno, che ancora non si sa quanti anni avrà di vita. Scorrendo peraltro queste pagine, vedemmo ben presto non esser questa una mera esposizione di fatti, ma assumersi dall' Autore più volte il carico della polemica, e con carattere e spirito da meritare qualche osservazione per cautela dei lettori meno accorti e periti. In una rivista non potremo certamente trattare le materie a fondo: ma essendo state queste più volte chiarite da noi in altri articoli, poche parole potranno bastare per mettere in guardia gl' incauti e ricordar loro le dottrine più volte spiegate.

Tutto ciò diciamo rispetto ai meno periti ed accorti: chè riguardo agli altri basterebbe il primo periodo, per far subodorare tutto il tenore dell'opera. Eccone il contesto.

« La uguaglianza di tutti i cittadini dinnanzi alle leggi, qualun« que sia la religione cui appartengono, e la libertà di coscienza, <«< costituiscono dei diritti naturali, ingeniti e precostituzionali, spet« tanti a ciascun cittadino. Questo è un assioma che la Dio mercè <«< non ha più bisogno di dimostrazione. Il sentimento della civile. uguaglianza, quello della libertà di coscienza e di culto, sono oggidì così penetrati nelle menti illuminate, che non saprebbe nem<< meno concepirsi un buono e libero ordinamento politico, senza la «< consacrazione solenne di tali diritti nelle Leggi Fondamentali o << Statuti Costituzionali, onde partecipino alla irrevocabilità ed intan<< gibilità proprie dei medesimi. »

Nel piglio cattedratico e burbanzoso, con cui l'Autore vitupera come menti oscure e come cattivi ordinatori di servitù politica coloro che con lui non la sentissero, egli ci rivela tosto la scuola dommaticamente dispotica alla quale appartiene; e la leggerezza con cui dà forma assiomatica a dottrine ora false, ora equivoche, lo dimostra uno di quegli uomini che credono indubitata ogni loro opinione, perchè, niun'altra conoscendone, essi stessi non sanno dubitarne. Per poco che l'Autore conoscesse l'opinare altrui e comprendesse il dire suo proprio, vedrebbe tosto quanto sieno equivoci e vacillanti i suoi assiomi. La prima proposizione lungi dall' essere un assioma, include la propria confutazione; seppure egli non pretenda essere sempre contro il diritto di natura che in una società qualunque e in qualsivoglia ipotesi, si concedano a qualche religione alcuni diritti a preferenza delle altre: il che non può farsi dall' Autore che ammette a libertà solo le religioni compatibili coi sani principii (pag. 26). S'egli avesse detto semplicemente diritto naturale la primitiva ugualianza di tutti i cittadini dinanzi alle leggi, questo potrebbe ammettersi; ed ognuno comprenderebbe che se queste leggi stabiliscono fra i cittadini una qualche superiorità per qualsivoglia ragione (sia civile o politica o religiosa ecc.), la disuguaglianza che fra loro ne risulta, lungi dall' essere contraria all'uguaglianza primitiva, ne

è anzi conseguenza necessaria 1. Ma quando vuole per diritto naturale quell' uguaglianza fra i cittadini, qualunque ne sia la religione, allora il suo assioma impugna tutta la storia del genere umano, e ripugna alle più elementari idee di natural religione; secondo la quale nell'ipotesi che Dio comandi, il cittadino che obbedisce dee preferirsi al disobbediente, come l'onest' uomo si preferisce al ladro.

Non meno equivoco è l'altro principio, secondo il quale la libertà di coscienza è diritto naturale ed ingenito. Di qual libertà parla egli? Dell' interna libertà dell' arbitrio nel consentire o resistere a qualsivoglia desiderio ancorchè illecito? Sarebbe ridicolo il negarla. Di li'bertà nel formare previamente il giudizio? Questa libertà molte volte non vi è, poichè l' intelletto opera molte volte necessariamente. Di libertà da una legge che determini il suo giudizio? Questa libertà, che renderebbe l'uomo indipendente da Dio, non può esistere. Di libertà nell'operare sempre conforme al dettame, vero o falso che sia, della propria coscienza? Questa libertà non è ammessa neppure dall'Autore. Eccoli dunque un assioma che contiene almeno quattro sensi, senza che l'autore spieghi in qual senso parli: ed il quale non è vero in sostanza, se non in quanto significa dovere esser libero, in una società bene ordinata, chiunque vuole operare secondo una coscienza retta, vale a dire conforme alle vere leggi del Creatore, regola suprema delle azioni, delle quali la coscienza è regola prossima, applicando ad esse la legge suprema.

A questi due principii l'autore aggiunge la libertà di culto, senza dirci se parli di culto interno o esterno. Ma il contesto medesimo del discorso dimostra ad evidenza parlarsi qui del secondo; la cui

1 Cosi per esempio, dall' uguaglianza dei cittadini, segue che il ladro debba essere punito, mentre l'onesto uomo è rispettato. E perchè? Perchè si sono disuguagliati col fatto, e perchè la legge condanna tutti coloro che rubano. Un altro esempio ce ne presenta l'Autore a pag. 5, ove tutti i cittadini si dicono ammissibili alle cariche e uguali nei diritti civili e politici, salve le eccezioni determinate dalle leggi. Se queste eccezioni sono possibili per qualunque altra ragione, possibili saranno anche per motivi di religione; e la parità universale di qualunque religione non sarà più un diritto imprescrittibile.

libertà può riguardarsi, dice l'Autore, in tre sistemi diversi. Il primo che connette la religione alle istituzioni politiche; il secondo che la separa interamente, ammettendo tutte le religioni compatibili coi sani principii di morale e coll'ordine pubblico; il terzo che stabilisce una religione dello Stato permettendo però l'esercizio di altri culti. Il secondo sistema soltanto garentisce veramente, dice l'Autore, la libertà di coscienza, perchè importa PIENISSIma libertà ed uguaglianza di culti (pag. 27): ed è questo, soggiunge a pagina 29, il sistema che regna in Piemonte in forza di tutte le nuove istituzioni insieme armonizzate.

Non sappiamo quanto questa asserzione sia coerente a ciò che l'Autore diceva al principio. « Dall'articolo 1.o dello Statuto venir quasi chiaramente esclusa la civile parificazione di tutti i culti alieni dalla religione dominante (pag. 1): e a ciò che spiegava poco prima del passo già citato (pag. 27 e seg.), dimostrando lungamente che la presente legislazione Piemontese ha in sostanza abolito il primo articolo dello Statuto, dal quale emerge la preminenza della religione cattolica sugli altri culti .... Comunque dalla lettera dello statuto emerga altresì il concetto di una mera tolleranza.... restrizioni, inceppamenti elc.; ora in fatto non è così, la tolleranza solto il nuovo regime politico si è necessariamente convertita in libertà; giacchè, sia che un culto diverso dal dominante venga formalmente riconosciuto, sia che venga semplicemente tollerato, se ne guarentisce ai cittadini la libera osservanza (pag. 28).

Così in sentenza l'Autore: ma ognuno vede che questa tolleranza convertita in libertà è bensì un fatto in Piemonte, ma non può dirsi un diritto risultante dalle istituzioni armonizzate. Un culto tollerato non può essere più libero che il culto dominante; il quale secondo l'Autore può dal Governo regolarsi in conformità dell'ordine pubblico. Se dunque l'ordine pubblico esigesse (e molti fatti recenti lo persuadono) che nuoce all'ordine pubblico la pubblicità di culti eterodossi, nulla vieterebbe che i cittadini dissidenti fossero liberissimi nel loro culto, ma non liberi nel luogo scelto ad esercitarlo e così sarebbe salva la tolleranza prescritta dal primo articolo, e la libera osservanza guarentita ai cittadini. Se le successive legislazioni non

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