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LA CARITA

MODELLATA DA LORENZO BARTOLINI.

PIETRO GIORDANI AL SUO LEOPOLDO CICOGNARA.

L

Firenze 4 settembre 1824.

Lorenzo Bartolini celebrato scultore, per una delle sei nicchie nella regia cappella di Poggio Imperiale, ha modellato un gruppo di tre figure, non molto maggiori del vero una bella giovane, nobilmente (fuorchè l'ignudo braccio sinistro) vestita, sostiene col braccio destro un bambino ignudo, che mollemente le posa sul petto, e dorme : il braccio sinistro è soavemente disteso a mostrare le lettere ad un fanciullo, di circa sette anni, nudo e diritto; che tenendo colle mani spiegato un rotolo, dalla voce amorevole della donna apprende il suono delle figurate parole. Segni di noia non dubbiosi vedete in volto al ragazzetto; più espressi nella școntenta e sgraziata positura del ginocchio e della gamba destra. Non può quella età sentire il gran benefizio che riceve :gli pesa l'attenzione alla qualè è obligato; gli è molesto l' impedimento al moto, si necessario e si caro a quegli anni. Non è costui de' pochi (è non i più fortunati) cui la debilezza del corpo fa innanzi tempo si attuosi di cervello, amanti di quiete esteriore. avidi e insaziabili di pensiero. Questi è del molto maggior

4 11 pezzo fra le due stellette è inedito. (E)

numero, ai quali è fatichevole il riposo delle membra, ė pena l'esercizio della immatura mente. La savia e amabil donna, che per adesso non è sollecita del fantolino il qual dorme così bene, sta rivolta e tutto intenta al monelluccio, ch'ella non può guardare in faccia; ma di saperne lo svogliato umore dà indizio un certo mezzo sorridere; che ci significa il suo veder nell' avvenire, e compiacersi manifestamente del gran bene che gli prepara. Oh quanto conoscitore della natura umana è questo Bartolini! E come di tanta conoscenza fa visibilmente parlanti le sue figure! * I volti, i capelli, le membra, i panni, le attitudini delle tre persone, la quiete e la semplicità dignitose dell'azione, son fiorentine, com' ell'erano sul principio del cinquecento; perocchè lo scultore sempre ed unicamente intento al naturale, si è assuefatto a vederlo e rappresentarlo cogli occhi e coll' animo che fecero cara al mondo la scuola di Donatello. Di che molte mie parole mai non potrebbono darti si vera immagine, come questo disegno che le accompagna. Giovami piuttosto discorrer teco la intenzione dell'artista.

Chi è questa donna ? In altri paesi troverebbe chi le dèsse nome di novella Circe; maga insidiosa, e più rea, chè vuole per tempo tramutare l' uom bruto in pensante. Il Bartolini (credibil filosofo nell' arte) dice che è la Carità: e Carità la chiamano Fiorentini e forestieri che traggono a vederla, e se ne innamorano. Donna amorosa, non lieta; in quegli anni che amano, e già impararono a compatire; bella per manifesta bontà; più sollecita di giovare che di piacere, come dimostrano le trecce non curate; aliena dal riposo, finchè altri abbisogni d'aiuto, perciò diritta e vigilante pronta a soccorrere dove il bisogno è maggio re; e coşi specialmente pietosa a quella età che debole e disarmata viene al lungo combattere colla natura e cogli uomini a lei prepara quelle provvisioni che la faranno migliore de' bruti, vincitrice degl' iniqui'; l'arte e il commercio de' pensieri. Simbolo delle madri, ed esempio; alle quali mostra il bene che debbono con maggiore affetto procurare ai loro piccoli; e non abbandonarli inumanamente

ai vili e feroci, dei quali è magisterio il tormentare e corrompere le primizie del genere umano.

Questa fiorentina Carità, accolta nella casa del principe, e in quella parte che il regnante ha consacrata a Dio, ricorderà quasi con autorità regia e divina, quella massima che fino a' di nostri fu cristiana: esser opera sommamente pietosa, e a Dio gratissima, liberare gli uomini dall'ignoranza: farà testimonio di quanto sia odiosa ai principi buoni, e a Dio, quella generazione scura e pestifera che va gridando il contrario; e si sforza (invano) ad assicurarsi il dominio del mondo, col mantenervi il vaiuolo, e cacciarne l'alfabeto. Felice la Toscana, dove quel grido, o abborrito o deriso, giunge quasi da remota barbarie; dove l'amore del vero e del buono, favorito del principe, compagno dei cittadini, siede maestro caro ed utile anche nelle officine degli artisti.

E in questa Toscana fortunatissima io poteva, o mio Leopoldo (si mens non læva fuisset), parecchi anni addietro condurmi e con quanto profitto sì di evitar ciò che nella vita infelice ho provato più doloroso; e si di partecipare a tanto bene pubblico, non come ozioso spettatore, quando bastava qualche vigor nell' ingegno. Ora dopo lunga tempesta vi approdo, affannato e tardi; non da onorate fatiche, ma da inutili pene stanchissimo. E nondimeno agli stanchi e dolenti è un conforto nelle arti graziose; e la mente si ravviva se opportuno vi entra un bel pensiero. Loderanno altri degnamente il Bartolini; io lo ringrazio. A lui debbo i pensieri che a consolarmi destò il concetto nobile e affettuoso che muove dalla sua Carità. A lui debbo in parte, se in questo scorcio caduco e quasi postumo di vita, risorge l'animo, lungamente prostrato da un immenso dolore per tanti mali pubblici e privati; risorge aperto a ricevere le consolazioni che può dare la contemplazione del vero e del bello, e più la speranza che da tanti travagli dell'età nostra il genere umano erediterà tempi migliori.

Nota. In 22 anni dopo questa invenzione lo scultor sommo ha fatto ammirare dal mondo opere grandi non poche. Nel marmo aggiunse a questo modello ineffabili bellezze. 1846.

SULLA BONTA' E GENTILEZZA

DI MICHELANGELO.

(1824.)

PIETRO GIORDANI A MADAMIGELLA ADELAIDE CALDERARA

Alla domanda che mi avete più volte fatta ch' io dovessi parlarvi delle cose e delle persone che più in Firenze mi sono piaciute, non ho soddisfatto mai: e pur sapete non dovermi nulla esser più caro che il far cosa che piaccia voi, bella e graziosa giovane. Ma di ciò non fu mia colpa. Perchè nè io saprei scrivervi se non liberissimamente, come l'amicizia concede: nè per quanto io ami che voi sappiate tutto quel ch' io penso, debbo sopportare di contentare la disonestissima curiosità di chi è ostinato d'intrapporsi a forza tra voi e me; e poi non pago di sapere, ciò che basterebbe esser saputo da voi e da vostra madre, non contento di leggere ciò che vi scrivo; lo copia, lo manda attorno, e vorrebbe pur che mi fòsse delitto e mi fosse ruina quella parte de' miei più intimi pensieri, che venendo sotto sigillo a voi, appena si può dire partita da me medesimo. Direte, cara Adelaide, che ben tardi mi sopravviene questa o timidità o prudenza: e che avendovi tante volte mandato arditamente di que' pensieri, che agl' impuniti violatori della fede publica mi fecero tanto odioso; ora che scrivendovi di Firenze non potrei mandarvi altro che lodi e contentezze, non dovrei guardarmi che altri, benchè indebitamente, si prendesse prima di voi quello che a voi sola mando. Ma ap

punto perciò mi son taciutó; perchè il sapersi da taluni quel ch' io disprezzo e quel ch' io detesto, poteva portar odio e pericolo a me solo; ma quel che io ammiro, quel che amò, è abborrito o sospetto a quelli che ci spiano; e quel ch'io dicessi lodando, diverrebbe tra le mani di quei velenosi un' accusa

Bontà di Michelangelo: che difficile a lavorare per i re, lasciava stare ogni altro lavoro, e faceva disegni per un Menighella pittor dozzinale è goffo di Valdarno, che voleva un S. Rocco o un S. Antonio per dipingere a' contadini. E Michelangelo gli faceva disegni semplici accomodati alla maniera e volontà di lui.

Michelangelo disse un giorno al suo Urbino

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se io muoio, che farai tu ? rispose, Servirò un altro. Oh povero a te! gli disse Michelangelo; io vo' riparare alla tua miseria; e gli donò scudi. duemila in una volta: cosa ch'è solita di farsi per i cesari e pontefici grandi.

Messer Giorgio mio caro 1. Io posso male) scrivere: pur per risposta della vostra lettera dirò qualche cosa. Voi sapete come Urbino è morto di che m' è stato grandissima grazia d' Iddio; ma con grave mio danno, e infinito dolore. La grazia è stata, che dove in vita mi teneva vivo, morendo m' ha insegnato morire non con dispiacere, ma con desiderio della morte. Io l'ho tenuto 26 anni; e hollo trovato rarissimo e fedele, e ora che lo aveva fatto ricco, e che iò l'aspettavo bastone e riposo della mia vecchiezza, m'è sparito; nè m'è rimasto altra speranza che di rivederlo in paradiso. E di questo n'ha mostro segno Iddio, per la felicissima morte che ha fatto; chè più assai che 'l morire gli è rincresciuto lasciarmi in questo mondo traditore con tanti affanni: benchè la maggior parte di me n'è ita seco; nè mi rimane altro che una infinita miseria. E mi vi raccomando.

Son. 61, p. 134. al Beccadelli

Perchè pensando son sempre con voi :
E piango intanto il mio amato Urbino,
Che, vivo, or forse saria costà meco.

1 Questi è Giorgio Vasari. (E)

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