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Proprietà letteraria.

AL SIGNOR VINCENZO FERRARIO.

Voi l'anno passato ristampaste un'operetta di Erasmo, la quale fu veramente necessaria ne'suoi tempi, e tuttavia si mantiene in credito per la fama dell'autore : ma poveri noi se non fossimo andati tanto innanzi da avere per inutile oggidi quell' Elogio della follia. Non prendereste a ristampare un' operetta egualmente antica, molto più elegante, utilissima all'età nostra, e scritta da un ingegno non minore di Erasmo, amicissimo a lui per tutta la vita, e più di lui pratico nelle cose del mondo, e faceto non meno di lui; un' operetta di un gran Ministro di stato, e di un Martire? Io vi propongo e vi consiglio di ristampare l'antica traduzione italiana dell' Utopia di Tommaso Moro gran cancelliere d'Inghilterra. A me pare che sia onor di Milano ch'ella fosse qui stampata latina nel 1620 dal Bidelli, e dedicata a don Giulio Arese presidente del Senato. Mi pare che sia onor d'Italia che noi la traducessimo prima che i Francesi; i quali per verità più volte poi la tradussero. Il volgarizzamento italiano che io conosco è stampato in Venezia nel 1548 e mi apparisce, a molti modi del favellare, opera di un Veneziano; benchè pubblicato da Antonfrancesco Doni fiorentino. E perciò converrebbe che net riprodurre quell' antica stampa, si avesse innanzi l'originale, per renderla più esatta e conforme.

Certo i dotti Italiani conoscono le gloriose fatiche e la fine immatura e gloriosa di Tommaso Moro: ma perchè

un tant'uomo sia più noto anche agl' Italiani meno letterati, mi piacerebbe che innanzi a questo suo libretto faceste andare una notizia cavata da quelle memorie che nel 1808 si pubblicarono in Londra con altre opere di lui: di che diede sette estratti la Biblioteca Britannica di Ginevra del 1809. Sono in quegli estratti molte cose, che si possono benissimo tralasciare : ma tanto se ne può prendere da formarne buon ritratto di quel grande e celebre uomo. Nol chiamerò infelice; poichè egli pur senza lamenti si lasciò togliere dal tiranno la vita: e la coscienza delle insigni virtù, e la speranza de' premii eterni lo tennero contento e lieto vivendo; e la fama che gli mantiene gloriosamente, vivo dopo tre secoli il nome, gli compensa quell' avanzo d' anni senili, che la tirannia gli rapi.

Credo che pochi oggidì leggano l' Utopia; e vorrei che la leggessero molti. Vorrei che si considerasse come siano antichi certi concetti, che oggi alcuni esaltano, ed altri disprezzano, come nuovi. Vorrei che fosse notato con quanta amabile disinvoltura una mente profonda sappia trattare le materie più gravi ; e con poche parole, quasi da scherzo, persuadere molti documenti utilissimi. Vorrei che si vergognassero, o almeno fossero svergognati e si confondessero quegli odiosi, che de' mali pubblici non pur vivono ma trionfano; e poi insultano alle querele dell'universale e a' sospiri dei buoni, deridendo come pazzia di teste deboli, e malinconiche, e inesperte del mondo, e incapaci della politica, il desiderare che i popoli possano vivere con tali fatiche e sventure che sieno inevitabili e tollerabili alla natura umana, e non debbano invocare come unico rimedio il morire. Un Tommaso Moro, già esercitato in molte ambascerie, poi inalzato all'amministrazione di un gran regno, non credette indecente a un Ministro il filosofare; non credette ridicolo in un uomo di stato il riprendere pubblicamente come abusi alcune usanze, le quali con danno di moltissimi profittano a pochi; il mostrare necessarie e non difficili alcune riforme che sarebbero utili a tutti. Quando il gran Cancelliere nel 1516 proponeva nella sua graziosa Utopia il modello di un virtuoso e felice stato, era

si può dir barbara l'Inghilterra : e fra quella tanta ferocia fa stupore la saviezza e la gentilezza del Moro. Oggi, dopo trecento anni, niuna parte di Europa è tanto proceduta nel viver civile che non possa riconoscerne quasi nuovi e tuttavia assai lontani gli elementi in quel libretto il quale pur troppo si rimarrà (chi sa ancora per quanti anni o secoli) nella estimazione di un romanzo. Ma in tanta importunità di romanzi di vani amori, e di strane o di sciocche avventure, che tuttodi si stampano e si leggono, speriamo che tra gl' Italiani non debbano mancar lettori ad un antico romanzo di pubblica felicità. State sano; e stampate più che potete de' buoni libri; e il men che potete de' cattivi.

PIETRO GIORDANI.

Piacenza

1821.

A UN GIOVANE ITALIANO

ISTRUZIONE PER L'ARTE DI SCRIVERE.

15 agosto 1821.

Eugenio, che io non conosco ed amo, vuoi darti all'arte di scrivere? Il tuo desiderio è buono; perchè in quest'arte troverai piacere quanto in nessun' altra; e dilettevolissima è la stessa fatica d'impararla. Con quest' arte potrai giovare agli uomini, quanto con verun' altra: da questa potrai quanto o più che da ogni altra acquistar gloria che si diffonda e duri. Gli antichi la chiamavano arte di parlare (Artem dicendi ), perchè in quei governi migliori si poteva al popolo radunato parlare de' suoi interessi da chi meglio l'intendeva. In questi tempi si concede solo ai preti e ai ciarlatani di parlare in pubblico: ma si può scrivendo parlare a molti separati di luogo e di tempo, e passare alla posterità. E lo scrivere, che non si fa improvviso, permette di dare ai pensieri e alla espression loro migliore ordine, e più efficacia. Tieni che l'arte di scrivere è l'arte di ben pensare, e ben esprimere i nostri pensieri; talchè divengano altrui niente meno che nostri. Tieni che a conseguir questo si vuole arte e studio. Molti in ciò s'ingannano, e non comprendono che arte e studio sia necessario perchè la materia e lo strumento di ciò (i pensieri e la lingua) non sono in potere di pochi uomini, come i colori e la creta o i marmi sono adoperati solamente da certi artefici; e i pensieri e le parole sono comuni a tutti gli uomini. Ma il fatto è che il pensar bene non è di molti; e il far pen

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