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PENSIERI PER UNO SCRITTO

SOPRA DANTE.

(1828)

1 Nascetur pulcra Troianus origine Cæsar Imperium oceano famam qui terminet astris.

2 Non è da maravigliare ed è forse da scusar Dante se chiamava un principe straniero ad ordinare l'Italia, poichè i papi continuamente di stranieri si valevano a disordinarla.

3 Se Dante non avesse avuto la smania di ostentare tutta la sua Teologia, alla quale non trovava più opportuna parte che il Paradiso, avrebbe potuto conservare l'unità dell' idea nel suo poema, continuando nello stesso stadio quel che aveva fatto ne' due precedenti: ne' quali aveva rappresentata o ripetuta tutta quella condizione degli atti umani che meritò supplizi, o fu degna di correzione. Così avrebbe potuto in paradiso fare che i Santi rimemorassero quelle virtù ed opere virtuose che variamente a loro meritarono l'eterno premio. 11 che sarebbe anche stato concorde al fine morale perchè se lo spettacolo de' supplizi e delle correzioni dolorose doveva allontanare da' peccati e da' vizi, la gloria eterna data in premio avrebbe inanimito alla pratica faticosa delle virtù. Ciò egli fece in S. Francesco e in S. Domenico; premiati l'uno per la povertà, l'altro per lo zelo religioso: in Giustiniano legislatore; e poche altre volte. Le invettive contra i papi e i re di Francia (expectes eadem a summo minimoque poeta) sono i soli interrompimenti alle noie teologiche.

Molti oblighi ho con Dante anch'io, come italiano: ma sul finire della mia vita mi giova avergli quest' obligo speciale e più caro ch' egli m'è stato cagione di parlar molte volte con lei, e (che assai più mi diletta) di ascoltarla.

A GIAMPIETRO VIEUSSEUX

DIRETTORE DELL' ANTOLOGIA.

La natura, infinitamente varia e mobile, non dà agli uomini alcuna eredità: niuno eredita bellezza, forza, coraggio, astuzia, facondia, industria. Il viver civile ha operato che succedano in retaggio una opinione ed un fatto, la nobiltà e la ricchezza. Invenzione commodissima agli eredi; variamente utile all' universale: perocchè ciò ch'è consegnato al caso, è facile di allontanarsi dalla ragione, o voltarsi contro lei. E quanto alla ricchezza, considerando bene ogni cosa, crederei necessario a un verò viver civile ch'ella da uno ad altro possessore si tramandi per successione ereditaria ed un paese dove chi possiede ricchezza non sappia certo chi nel possesso gli succederà, lo dirci barbaro ed infelice; se non mi tenesse riverenza debita al gran Turco del quale (nella mia matura età) ho imparato ch'egli è legitimo e savio e piacevol signore; ed egli è pure l' unico nobile in tutta quella gente, l' unico erede di nobiltà e di ricchezza. La nobiltà in diversi tempi da diversi popoli è stata diversamente intesa. Nella Cina (il più antico e più popoloso stato del mondo) è ereditaria la ricchezza; è personale e non si eredita la nobiltà. La nobiltà comanda ; ma unico mezzo a nobilitarsi è la dottrina perciò impossibile il retaggio della nobiltà. Agli antichi Egiziani, regno, sacerdozio, milizia, lavoro, servitù, ogni cosa fu ereditario. Sono paesi in Europa ne' quali non si vedono ereditarii facitori di scarpe o di scranne, ma nascono ereditarii facitori di leggi : paesi fortunatissimi, dove si trova tanto facile e copioso, cioè ereditario, il più raro bene del genere umano, la sapienza. Peraltro, volendo essere sinceri, bisogna confessare che è più pronto all'uomo il buon uso dei beni i quali da sè stesso con fatica si acquista,

che de' beni piovutigli sopra dalla fortuna. Nè anco si vuol negare che il mal uso de' vantaggi ereditarii non sia molto nocivo al comune al quale nocumento non sarebbe assurda cosa desiderare o preservativo o rimedio. La repubblica romana si provvide di un uffizio (esercitato assai volte con memorabile severità) che rimediando agli abusi della nobiltà conservava lo stato; il quale ivi era per la maggior parte in mano de' nobili. I Censori movendo dal senato e movendo dall' ordine equestre coloro che la vita deforme faceva indegni di quell' ereditario onore, mantenevano al corpo della nobiltà la riputazione ; tanto necessaria a chi vuol comandare ed erano severi, non ingiusti: perocchè al figliuolo del nobile tralignato e cacciato, qualora somigliasse più agli avi che al genitore non toglievano il vantaggio della stirpe. Tagliando il ramo guasto mondavano l'albero e lo invigorivano. I Cinesi, ai quali parve cosa incertissima e da non doversi sperare, che il padre e l'avo tramandi le virtù a' figliuoli e nipoti; dubitano ancora, per la debolezza ed incostanza dell' uomo, ch' egli possa non durare o non fare progressi in quelle virtù, per le quali alzato sopra il comune, fu dichiarato nobile, cioè partecipe del governo. E siccome hanno parecchi gradi, a ciascuno de' quali con rigorosi e ripetuti esami l'uomo è promosso; così ancora a tempi stabiliti si giudica s' egli è degno di tenere il grado acquistato; e si reputa indegno qualora non è trovato meritevole di salire più alto e la pigrizia (non che altra maggior colpa) è punita coll' essere abbassato di grado se a nuovi esami non apparisce migliorato, è renduto alla plebe. In Europa (che delle usanze Cinesi per avventura si ride) non sono tremende le Commissioni Araldiche; le quali soccorrono alla gloria del patriziato, non esaminando nella mia vita se io son degno erede di nobiltà; ma investigando nelle mie vecchie carte solamente se io sono erede, e come. Tanto è creduto tra noi o che non possa mai venir meno la virtù ai nobili, o ch'ella sia inutile. Nè v' imaginaste per le mie parole, caro Vieusseux, ch' io desideri ai nostri tempi una cinese o romana censura. Quelle nobiltà europee le quali vogliono conservare o ricuperare il privilegio di una maggioranza imperiosa, considerino esse come sia facile oggidì che il nome de' morti tenga sottoposti a viventi dappoco i viventi valorosi. Quanto a me non porto ora i miei pensieri fuori d'Italia e in questa Italia, tranquilla e suo malgrado oziosa, non vedo nè ambizione al comandare, nè impazienza all' ubidire. Un peso comune ci agguaglia: tutto l'antico è morto per noi: vorrei che almeno nella quiete presente si sapesse chiaro quale

avvenire sia veramente degno dei nostri desiderii. Ma in Italia, come dappertutto, è riverita, invidiata, temuta, la ricchezza; dal buono o reo uso della quale dipende un gran bene o un gran male del mondo. So per quante ragioni è saldamente provato che la ricchezza dev' essere liberissima: e troppo si mostrerebbe imperito delle cose umane chi domandasse leggi e magistrati a vol-` gere ad universale utilità la sovrabbondante fortuna dei pochi. Questo sarebbe ufficio de' costumi e della publica opinione: ma ciò dove non fosse usanza e necessità il silenzio. È chi sparnazza il suo avere, gittandolo in cose o frivole o viziose: è chi ad ogni frutto di virtù lo sottragge, invidiandone godimento onesto non che altrui anche a sè stesso. Ma chi riprenderà o il prodigo o l'avaro? Potete alzare la voce contra un dotto, ma non contra un ricco perchè dottrina è vanità; ricchezza è potenza; e le leggi custodiscono la quiete d' ogni potente. Resta solo a tentare cautamente un compenso: se qualche rara volta accada che un animo nobile impieghi l'avanzo de' suoi danari a benefizio o del publico o di privati che 'l vàgliano, lodare quel generoso, celebrarlo, proporlo ad esempio, pregare i fortunati che vogliano imitarlo, promettere gratitudine de' presenti, nome ne'posteri. Perciò essendo venuto a mia notizia.

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RITRATTO DI VINCENZO MONTI.

1830

Vincenzo Monti, nato presso Fusignano (territorio Ferrarese) ai 19 di febbraio 1754, mori in Milano il di 9 ottobre 1828: del quale poichè molti già scrissero con varietà di giudizio e di affetti, io che devo esser brevissimo, renderò con poche parole testimonio sincero alla bontà di quel grand' uomo. Il quale vicino al finire della vita, da persona a lui e a me carissima, più volte e istantemente mi fece richiedere di quest' uffizio; non meno dovuto alla verità che ad una lunga e fedele amicizia. Poichè la bontà del mio Amico fu nota e provata a quanti lo conobbero, degni di amarla; e non meno la conobbero gl' indegni, che troppi, e troppo l'abusarono. Ma quelli che non lo videro, e molte generazioni future che ne' suoi scritti leggeranno parole superbe e sdegnose, potrebbero leggermente crederlo assai diverso da quello che fu. Però ci è necessario avvertire, che egli quando si fece riprenditor veemente di quelli che studiano ad ingannare il genere umano o ad opprimerlo; compiè il debito di poeta civile; quando poi, o essendo o credendosi offeso, punse altrui non per causa publica, ma per suo proprio dolore; non fu mai concitato da stimoli d'odio o d' invidia; ma traportato da un torrente di fantasia: la quale in lui (somigliandolo a Cicerone) soverchiò le altre parti della mente, e dominò la vita. Egli per ve

4 Adelaide Calderara Butti.

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