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( LVII)

di que' romantici (26), degni del lome pur troppo, che a divagare in un immaginario dalle sponde dell'Illisso, e I giogo, di che Tever si disserra, ber che ritorcessimo il piede. Altrove ar si vogliono questi novelli altari agli , e a' Serapidi, e altrove è giusto che culto ed incenso; chè colà sfingi e re, maghi egizi, e tessali portenti vambrano, e vagheggiatori ritrovano. re, che in molte nordiche regioni si vero bello nelle arti imitatrici mato sinora, non debbon quelle che agli i,

gni alta cosa insegnatori altrui. i sa che diffidando di emularci in erta ed unica via, che le greche e le orme serba e le nostre, quest' altra tendano schiudersi, e colà preceder■ colà noi (spero) non gli seguiremo. mpiacersi bensì debbono i buoni e dotti figli di questa nostra e delle nclita Patria, che grandissime furono dell'Alighieri, e quella dell' Ariosto; straziata videsi per intervalli l'ausoeratura da' tempi di f. Guittone sino i, in che or ci viviamo; pur ciò

malgrado, in mezzo alle dispute, alle gare, alle sette, a' paralogismi, onde si è parteggiato, e si parteggia fra dotti pedanti e bizzarri innovatori, tra superstizione e licenza, gallicismi e riboboli, sempre si è nella coltura dell' idioma, senza avvedercene, qualche passo insensibilmente innoltrato. Sino in questo momento medesimo, in che scrivo, paragonando gl' italiani libri, che or escon de' torchi con quelli, che trenta o quarant'anni fa ne uscivano, senza poterne rimaner paghi del tutto; pur comincia se non altro, a trasparir da ogni parte un certo amore di dettar con eleganza, ed italianamente che prima non iscorgeasi, e'l gallicismo omai presso che interamente sbandeggiato, pienamente il

comprova.

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Perchè veggasi a che miri il mio ragionare, è d'uopo avvertire che da' poemi i versi, i poeti da' versificatori differiscono di gran lunga, del che sarà facile persuadersi, quando ci rammentiamo esservi stati secoli illustri per sommi poeti, e altri poi non già di poeti sì fatti, ma di celebratissimi versificatori fecondi (27). L'età nostra più d'ogni altra può con lucidissimo esempio questa dilicata differenza render sensibile e

A

chiara. Quanto non abbondiamo di nobilissimi versi! ma di magistrali poemi non così, chè nè i poemetti, nè le Odi, nè le traduzioni opere si diranno magistrali e di machina, da porsi a fronte della divina Commedia, del Furioso, e della Gerusalemme. Magistrale all' incontro nomineremo l' opera delle tragedie di Vittorio Alfieri per la celebrità, di che godono, comechè rimanga sempre giusto il rammarico del Parini : Perchè de l'estro a' luminosi passi I Fan ceppo i carmi?

Onde abbiamo in lui un felice poeta, un versificator non felice. Allo splendor della lingua intanto più i poeti giovano, che i poemi, e le poesie anche brevi in difetto di lunghe epopee.

Se vale questo principio, vantandomi io dell' età di Dante, e di Torquato fervidissimo cultore, e quindi di parte avversa a' licenziosi profanatori di nostra favella, fermo rimarrommi nell' asserire ch'essa grandeggiò bambina nel trecento: grandeggiò altresì nel cinquecento, che su lei ancor giovinetta prese a vegliare con più regolar disciplina, e via via si è negli anni, e nel culto innoltrata sino a quella stagion mede

sima, in che come imbarberita si è maggiormente deplorata e compianta. Così avveniva in que' funesti giorni, che i nostri libri altro che traduzioni, e parodie gallicane non offerivano, e titolo di scienziati per trivi e per bettole procacciavasi a vil mercato. Cacciatori, unguentier, l'empia canaglia Del toscan vico, pasticcier, buffoni, Tutto il macello aggiuntovi il Velábro; (*) oh! sì che tutti eran dotti ed autori, o filosofi per lo meno. Ne spaventarono i buoni, e spezialmente i nostri venerandi vecchi, che le cose più sacre e più care già gridavan perdute. Ne avean ben d'onde, ma pur non era così. Apparecchio di letali sintomi sgomenta spesso il fisico, che giugne a sfidar l'infermo appunto in quel momento medesimo, che saggia natura sotto quelle mortifere apparenze salutar crisi sta operando, foriera di sanità e di vita. Fu a dir vero miserabil cosa il veder densissimo sciame di scioltai, simile a nembo di calabroni, e di vespe, tutti ingombrare gli ameni campi dell' Elicona: ma ronzavano anche le api in mezzo a loro.

(*) Sat. 3. 1. II. ·

Dal non essersi conosciuti in su' primi albori della poesia versi privi di rime, si spigneano i severi sino a volere sbattezzar gli sciolti d'ogni poctico nome: ma nè le ottave pure si conosceano allora, e nel cinquecento poi e quelli e queste sbucciarono; se non che le seconde con felice germoglio, e i primi stentatamente. Ho io osservato che quasi ad egual distanza tre de' princi-· pali modi dal poetare italiano, la terza rima cioè, l'ottava, el verso sciolto, sieno stati a perfezionamento condotti. Che se vuolsi udire d'onde il maggior merito degli sciolti, rispetto alle lettere, derivare intendo; ciò da me si ripone nella necessità del compenso, ch' essi richiedono, abbandonando la rima.

Compenso sì fatto, siccome ciascun conosce, e testé il dicemmo, non altrove rinvenir possono, che nella loro elaborata struttura, nell' eleganza e nelle nuove forme delle adoperate locuzioni, in alcuni modi greci e latini ingegnosamente e opportunamente commessi. Delle bellezze de' pensieri e delle immagini non fo qui menzione, perchè all'opera materiale del verso non si appartengono. L' opera bensi di far passare taluni modi,

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