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buttar via le dande e ad agire con le nostre forze; ma a questa diversità d'incominciamento non è da dare una grande importanza, e tanto meno dobbiamo trarne argomento a scoraggiarci, imperocchè in molte cose, e in ispecie nella scienza e nella civiltà, la via più lunga non è sempre la peggiore. Tra gli ultimi lavori, dei quali dirò dopo, trovo la conferma di ciò che ho detto in quelli del Roby, del Walker, e del Goodwin. Il ROBY è uno dei più illustri romanisti dell'Inghilterra, il quale alla scienza giuridica unisce la filologica. Sono nel paese di lui molto usati e da per tutto stimati i suoi due volumi di grammatica latina, dei quali si è fatta nel 1882 la quarta edizione. Per i giuristi e per gli studii universitarii è di sommo interesse la sua Introduzione al Digesto di Giustiniano, della quale questo volume contiene tradotta la prima parte, e la seconda parte è il commento esegetico al titolo de usufructu. Nei lavori del Roby si scorge anzitutto come egli conosca bene le fonti e la cultura giuridica: senza perdersi in un laberinto di citazioni inutili, mostra di conoscere le opinioni importanti degli scienziati, in ispecie tedeschi. Dovremmo prenderne ammaestramento noi italiani, che poniamo tanto studio nel compilare per ogni questione un catalogo librario: è tempo di finirla con queste esagerazioni di volere riferire tutte le opinioni messe fuori in tanti secoli. Questa erudizione facile, ma pesante, è una troppo grave zavorra pel nostro pensiero: essa tarpa le ali a qualunque mente creativa, e converte i giuristi e gli scienziati in topi di biblioteca. Si capisca una bella volta che nessuno ha l'obbligo di citare le opinioni strane, le quali quando furono emesse non ebbero alcuna influenza: o perchè dovrò io citarle oggi, solo per mostrare la mia pazienza? perchè dovrò

ripetere ad altri un'idea che non ebbe alcuna importanza quando fu messa fuori? È tempo di finirla con questo metodo e con queste pretese che intisichiscono la mente: mentre infatti va crescendo il numero dei lavoratori di minuzie, diminuisce quello dei grandi giuristi. Veggasi che cosa si fa in Germania, dove sorse e donde venne a noi questa mania delle troppe citazioni bibliografiche: si incomincia anche colà a stancarsene e a farne un uso molto moderato. Ho, per esempio, sul tavolo un lavoro recente, quello del Rümelin (Gesch. der Stellvertr. 1886): basta aprirlo a caso per vedere come i tedeschi sieno guariti da questa manìa. Dovremo noi italiani continuare un uso che va cessando là dove fu creato, ed essere più realisti del re? Tornando al libro del Roby, voglio osservare che la sua indipendenza dalle autorità tradizionali e la sua giuridica e filologica conoscenza delle fonti gli danno una originalità grande, non tanto nelle opinioni, quanto nel modo di porre e risolvere alcune controversie. L'attività del Roby deve essere davvero immensa, se in mezzo alle sue giornaliere occupazioni politiche e di fabbricatore di tessuti trova il tempo di coltivare così bene il diritto romano. La Law Quartely Review ha spesso suoi articoli e ne ricordo uno recentissimo sopra le leggi di Gortyna. Elegantissimo è uno studio sopra Cicerone, de oratore, I, §§ 41, 42, 56, 173, 175, 179, che il Roby pubblicò testè nel volume XV del Journal of Phylology. Ugualmente noto è il Prof. BRYAN WALKER per il numero ed il genere dei suoi lavori: nei suoi Selected Titles from the Digest ha fatto profondi studii esegetici sopra XVII, 1 (mandati); XLI, 1 (de adquirendo rerum dominio); XLI, 2 (de adquirenda vel amittenda possessione); XII, 1 e 4 e 7 e XIII, 1-3 (de condictionibus). Insieme all'Abdy tradusse

e annotò i commentarii di Gaio, le regole di Ulpiano, e le istituzioni di Giustiniano. Un lavoretto del Walker, pubblicato nel 1877, non ha oggi una grande importanza per essere sopravvenuti altri e più profondi studii; ma la sola idea di pubblicare The fragments of the Perpetual Edict of Salvius Julianus mostra come il Walker lavori ed insegni con metodo scientifico e positivo. È uscito da pochi giorni uno studio sopra un tema elegante e storico, cioè The XII Tables di FREDERICK GOODWIN (London, Stevens and Sous, 1886). Non sono che 70 paginette sopra i varii frammenti delle XII tavole, ma i concetti dell'autore sono così sobri, precisi e spesso nuovi, che essi e la natura dell' argomento mostrano la felicità di auspicii coi quali l'Inghilterra si dà allo studio del diritto romano. In questo risveglio ha una grande parte (e l'avrà sempre maggiore) la Law Quarterly Review del Pollock. II POLLOCK, professore all'Università di Oxford, è veramente celebre per la sua opera Principles of Contract: questa Rivista, da lui fondata nel 1885, è fatta così bene e contiene spesso articoli così importanti, che anche di essa dovremmo maggiormente occuparci in Italia.

Ma se è certo il fenomeno di un inizio già grande negli studii romanistici inglesi, sono difficili a trovarsene le cause. Al mio lettore io voglio riferire quello che in proposito mi ha scritto gentilmente il Roby.

Il Diritto Romano in Inghilterra trovasi, secondo che dice il Roby, in condizioni affatto differenti da quelle dei grandi Stati continentali. Esso non è mai stato accolto, nè come tale ha mai fatto parte delle leggi del regno sì statutali che consuetudinarie. La sua influenza sul Diritto Inglese è stata sempre indiretta ed analogica; nessun tribunale ha mai riconosciuto sentenze o principii del Corpus

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