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Vat. Fr. 83 L. 3, § 2. Il Digesto omette naturalmente do lego rendendo così la regola applicabile ai legati in generale: cambia molti proprietas in fundus, ma questo non era a parer nostro che un cambiamento di espressione per amore di chiarezza. Ulpiano scrivendo proprietas come noi troviamo nei Vat. Fr. intendeva, secondo noi, un legato di proprietas i. e. plena proprietas ed il legato doveva essere concepito così: proprietatem illius fundi do lego. Se egli avesse detto proprietatem deducto usufructo do lego, il legatario non avrebbe acquistato che la sola proprietà e non potrebbe esservi stata questione di accrescimento, ma solo di riversione. Vedi D. XXXIII, 2. L. 19.

L'ultima parte del frammento si basa sul principio che una volta perduto, anche parzialmente, l' usufrutto, questo non esiste più rispetto a quella parte, e quindi non può essere perduto nuovamente. Questa norma di strictum ius venne per altro modificata dal Pretore, che non poteva permettere che l'investito d'un usufrutto dovesse, mediante l'acquisto della proprietà, privare l'altro usufruttuario della possibilità di qualunque aumento, ed il Digesto pone questa regola assolutamente.

Vat. Fr. 86 88 D. VII, 2. L. 8. Più che una edizione corretta, il Digesto è in questo caso un breve sunto dell'ampio passo di Ulpiano, nel quale son posti in evidenza i contrasti tra le due principali forme di legato ed i vari casi probabilmente accennati da Sabino. Fra questi egli poteva aver contemplato quello dei figli istituiti eredi e della madre nominata legataria dell'usufrutto insieme ad essi; o del caso in cui la madre fosse erede della proprietà, ma legataria dell'usufrutto di quella insieme ai suoi figli. La proprietà poi può esser lasciata in comune agli eredi, oppure a nessuno di essi. Se i figli non sono legatari insieme alla madre, non può esservi accrescimento; se sono eredi, l'acquisterebbero alla morte della madre; ma non in via di accrescimento, ma come loro proprietà. E ciò avviene quando il legato sia fatto con la forma do lego; nel caso di legato per damnationem non potrebbe esservi accrescimento in alcun caso, e così pure anche nel caso che i figli fossero eredi e legatari senza che alcuno estraneo fosse pure erede,

poichè ciascuno deve prendere il proprio legato non da sè stesso come erede, ma da uno dei suoi fratelli; e così le loro parti sono, per così dire, ben distinte e non ammettono concorrenza che in quanto riguarda la madre loro. Con la madre c'è concorrenza, ma solo in riguardo ad ognuna delle loro porzioni. Ciò mi pare che faccia supporre l'esistenza di soli due figli; se essi fossero tre, l' usufrutto potrebbe essere lasciato dall'erede A, agli eredi B, C, e alla madre; e dall'erede B, ad A, C, e alla madre, e così via; nel qual caso potrebbe esservi accrescimento tanto tra i figli fra di loro, come fra i figli con la loro madre.

Questo passo è un esempio notevole della libertà con la quale i compilatori del Digesto si servirono degli antichi giuristi; mostra pure le piccole rassomiglianze che esistono fra il testo originario ed i frammenti posti nel Digesto. Anche dove le parole sono quasi identiche può darsi che il testo fosse af fatto differente, come è appunto il caso del passo da noi esaminato, dove una delle opinioni alternative è posta come vera ed è falsato il vero punto della discussione. Vedi Arndts in Glück, XLVIII, pag. 194.

Uniamo qui due esempi della maniera con la quale i compilatori del Codice trattarono la materia loro affidata.

Vat. Fr. 283.

Idem (sc. Diocletianus) Aurelio Carrenoni.

Si stipendiarorum proprietatem dono dedisti ita, ut post mortem eius qui accepit ad te rediret, donatio inrita est, cum ad te (1) proprietas transferri nequiuerit. Si uero usumfructum in eam, contra quam supplicas, contulisti, usumfructum a proprietate alienare non potuisti.

Proposita v. id Mart. Maximo et Aquilino conss. [i. e. a. D. 286].

Cod. Just. VIII. 54 (55). 2. Impp. Diocletianus et Maximianus AA Zenoni.

Si praediorum proprietatem dono dedisti ita, ut post mortem eius qui accepit ad te rediret, donatio ualet, cum etiam ad tempus certum uel incertum ea fieri potest, lege scilicet quae ei imposita est conseruanda.

PP v. id. Mart. Maximo II. si Aquilino cons.

(1) Il M. S. ha te; Mommsen ed Huschke leggono tempus.

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CAPITOLO V. Confronto deI FRAMMENTI CO'LORO ORIGINALI

Cod. Theodos. II. 26. 1 1.

(Ex Gromat. Script. p. 267, ed. Lachmann.).

Imp. Constantiuus Aug. ad Tertullianum Uirum perfectissimum comitem dioceseos Asianae.

Si quis super inuasis sui iuris locis prior detulerit querimoniam quae finali cohaeret de proprietate controversiae, prius super possessione quaestio finiatur, et tunc agri mensor ire praecipiatur ad loca, ut patefacta ueritate huius modis litigium terminetur. Quod si altera pars, locorum adepta dominium, subterfugiendo moras adtulerit ne possit controuersia definiri, a locorum ordine selectus agri mensor dirigetur ad loca; ut si fidelis inspectio tenentis locum esse probauerit, petitor uictus abscedat; at si controversia eius claruerit qui primo iudiciis detulerit causam, ut

inuasor ille poena teneatur edicti, si tamen ui ea loca eundem inuasisse constiterit: nam si per errorem aut incuriam domini loca data ab aliis possessa sunt, ipsis solis Icedere debent.

Dat.ri.kl. Mar. Gallicano et Symmacho consulibus (i. e. A. D. 330).

Cod. Just. III. 39. 3.

Imp. Constantinus A. ad Tertullianum.

Si quis super iuris sui locis prior de finibus detulerit querimoniam, quae proprietatis controversiae cohaeret, prius super possessione quaestio finiatur, et tunc agri mensor ire praecipiatur ad loca, ut paterfacta ueritate huius modis litigium terminetur. Quod si altera pars, ne huius modi quaestio terminetur, se subtraxerit, nihilominus

agri mensor in ipsis locis iussione rectoris prouinciae una cum obseruante parte hoc ipsum faciens per

ueniet.

D. VIII. k. Mart. Bessi Gallicano et Symmacho conss.

Cod. Just. viii. 4. 5.

Imp. Constantinus A. ad Tertullianum.

Inuasor locorum poena teneatur legitima, si tamen ui locus eundem inuasisse constiterit. Nam si per errorem aut incuriam domini loca ab aliis possessa sunt, sine poena possessio restitui debet.

D. vi. k. Mart. Gallicano et Symmacho conss.

CAPITOLO VI.

INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEI GIURISTI

Giustiniano fra le norme date per la compilazione del Digesto ordinò a Triboniano ed ai suoi colleghi di raccogliere la materia dagli scritti degli antichi giureconsulti che avevano ottenuto autorità dall'imperatore di comporre ed interpretare il diritto.

Gli altri scrittori, le opere dei quali non erano state riconosciute da alcuna autorità o che non erano state usate in pratica, non erano secondo lui degni d'essere riconosciuti nel suo Digesto.

Queste sono le sue parole. Iubemus igitur vobis antiquorum prudentium, quibus auctoritatem conscribendarum interpretandarum legum sacratissimi principes praebuerunt, libros ad ius Romanum pertinentes et legere et elimare, ut ex his omnis materia colligatur, nulla, secundum quod possibile est, neque similitudine neque discordia derelicta, sed ex his hoc colligi quod unum pro omnibus sufficiat. Quia autem et alii libros ad ius pertinentes scripserunt, quorum scripturae a nullis auctoribus receptae nec usitatae sunt, neque nos eorum volumina nostram inquietare dignamur sanctione (Const. Deo auctore, § 4). La questione si risolve quindi nel sapere, quali furono quei giureconsulti che ebbero autorità imperiale di formare ed interpretare il diritto. A questo proposito giova ricordare la pratica introdotta da Augusto di concedere a certi giureconsulti di dare dei responsi; ma il determinare quali furono questi giureconsulti (oltre Sabino al quale questa autorità venne concessa da Tiberio D. I, 2, 2, § 48) è cosa assai difficile, sebbene molti dei più famosi giureconsulti pubblicarono libri di responsa od epistolae o quaestiones che probabilmente contenevano casi sui quali essi emettevano opinioni autorevoli. Tre costituzioni pertanto sembra abbiano un rapporto speciale al

l'applicazione delle parole di Giustiniano. Una di queste è di Costantino (D. C. 321). Perpetuas prudentium contentiones eruere cupientes Ulpiani ac Paulli in Papinianum notas, qui dum ingenii laudem sectantur non tam corrigere eum quam depravare maluerunt, aboleri praecipimus (Conf. ib. IX, 43, L. 1). In qual momento di rancore venisse dettata questa legge non sappiamo: lo stesso imperatore in un periodo posteriore trattò più favorevolmente le opere di Paolo (D. C. 327) Universa, quae scriptura Paulli continentur, recepta auctoritate firmanda sunt et omni veneratione celebranda. Ideoque Sententiarum libros plenissima luce et perfectissima elocutione et iustissima iuris ratione succinctos, in iudiciis prolatos valere minime dubitatur.

Finora però non abbiamo trovato che i nomi di Papiniano e Paolo fra gli scrittori e quello di Sabino fra i primi consiglieri autorevoli in materia di diritto; ma nell'anno 426 D. C. si emanò una costituzione portante i nomi di Teodosio II e Valentiniano III (chiamata spesso Citirgesetz di Valentiniano; ma con quanta giustezza ciò sia può essere dedotto dal fatto che Valentiniano aveva allora soli 7 anni) la quale definì la questione probabilmente come poi la pensò Giustiniano. La costituzione come ci è stata tramandata (Cod. Th. I, 4, 43) suona così: Papiniani, Paulli, Gai, Ulpiani atque Modestini scripta universa firmamus, ita ut Gaium, quae Paullum Ulpianum et cunctos, comitetur auctoritas, lectionesque (passi) ex omni eius opere recitentur. Eorum quoque scientiam, quorum tractatus atque sententias praedicti omnes suis operibus miscuerunt, ratam esse censemus, ut Scaevolae, Sabini, Iuliani atque Marcelli, omniumque quos illi celebrarunt, si tamen eorum libri propter antiquitatis incertum Codicum collatione firmentur. Ubi autem diversae sententiae proferuntur, potior numerum rincat auctorum, vel si numerus aequalis sit, eius partis praecedat auctoritas, in qua excellentis ingenii vir Papinianus emineat, qui ut singulos vincit, ita cedit duobus. Notas etiam Paulli atque Ulpiani in Papiniani corpus factas, sicut dudum statutum est, praecipimus infirmari. Ubi autem pares eorum sententiae recitantur, quorum pars censetur auctoritas, quod sequi debeat, eligat moderatio iudicantis. Paulli quoque sententias semper valere praecipimus. Molto si è discusso su questa legge (vedi Iac. Gothofred. ad loc.; Puchta Rhein. Mus. V, 141; VI, 87; Cursus 1, § 134; Huschke Z. G.

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