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mandolo col suo nome completo, 213 d. C. (Cod. I, 9, 1). L'unica sua opera nominata nell'Indice Fiorentino è intitolata Dispulationes; consta di 21 libri, e risale circa ai tempi di Caracalla. Nel libro X (D. XLVIII, 19, 39) parla di un rescritto ab optimis imperatoribus nostris, che il Fitting attribuisce a Caracalla e Geta, poichè egli nei suoi primi libri (D. XXVII, 1, 44; XLIX, 15, 12, 17; cf. III, 1, 11) parlando di Severus ci dice che era già morto. Nel Digesto si trovano 80 frammenti delle sue Disputationes, che occupano da 18 a 19 pagine di Hommel. Tra i più lunghi di questi sono; XVI, 3, 31; XXIII, 2, 67; III, 78, XXVI, 7, 55; XXXVII, 4, 20; XLI, 1, 63; XLIX, 15, 12; 17, 19. Un buon frammento è L, 16, 225. Nel XLVIII, 19, 39 egli cita l'orazione di Cicerone in favore di Cluenzio.

CAPITOLO XIV.

PAPINIANUS, ULPIANUS, PAULUS.

AEMILIUS PAPINIANUS fu, secondo alcuni, parente della seconda moglie di Severo, Iulia Domna; e siccome essa era di Emessa nella Siria (Capit. Macrin. 9), è probabile che anche Papinianus fosse nativo di quella provincia (Bremer, p. 88). La prima notizia che noi abbiamo di lui si è che egli imprese insieme a Severo la professione legale sotto Scaevola (cum Severo professum (1) sub Scaevola), vale a dire che dopo avere frequentato le lezioni e le consultazioni pubbliche di Scaevola cominciò ad insegnare e a dare pareri coll' assistenza di quegli. Egli succedette a Severus nell'ufficio di avvocato del Tesoro (Advocatus fisci: Spart. Car. 8) e divenne poscia Maestro delle Petizioni, nella quale carica componeva i rescritti imperiali (rescriptum ab imperatore libellos agente Papiniano D. XX, 5, 12, pr.), e probabilmente fu assessore nella corte dei praefecti praetorio (D. XXII, 1, 3, 3). Sotto Severo, l'amico suo intimo, lo troviamo (204 d. C.) Capitano della Guardia (praefectus praetorio, ò ëñapyos Dione Cass. LXXVI, 10), carica che fondeva in sè l'autorità militare e la più alta giurisdizione tanto civile quanto criminale (cf. Mommsen, Staats Recht, II, pp. 828, 932, 1058), e che era comunemente tenuta da due e più persone (ib. p. 831 n.). Papinianus accompagnò l'imperatore in Brettagna (Dione ib. 14),

(1) Profiteri nel significato di dedicarsi all' insegnamento, od alla professione di giureconsulto, è usato di un maestro di retorica da Plinio. Ep. II, 18; IV. 11 passim, dei giureconsulti, D. 1, 2, 35; dei matematici (Lampr. A lex. 27). Da profiteri viene professore. Su questo argomento vedi: Puchta, Cursus § 103; Bremer, Die Rechtslehrer ecc. p. 16, che è d'opinione che profiteri significasse fare una dichiarazione innanzi l'autorità pubblica (magister census) per ottenere l'esenzione dai carichi pubblici Cf. Vat. Ft. § 204; D. XXVII, 1, 6, 12; Cod. X, 53 (52).

probabilmente fino alla morte di Severus che avvenne in York nel 211, d. C. Dione racconta che Caracalla tentasse d'assassinare il padre, ma non vi riuscisse: Severus, sventato il complotto, fece chiamare nella propria tenda Caracalla e Papinianus, e porgendo una spada al primo gli disse che « l'uccidesse, o, se preferiva, desse la spada a Papinianus ingiungendogli di compiere l'atto, che certamente quegli l'avrebbe obbedito. >> Ma queste parole devono essere considerate come l'espressione d'un eccitamento e di un profondo cordoglio, non come l'espres. sione di dubbi sulla lealtà di Papinianus. Severo prima di morire gli raccomandò i suoi due figli Bassianus (Caracalla) e Geta (Spart. Car. 8), ma Caracalla lo depose dall'ufficio (Dio LXXVII, 1) probabilmente perchè egli volea dissuaderlo dal proposito di uccidere il fratello Geta. Geta fu assassinato, e pochi giorni dopo anche Papinianus come suo seguace (212 d. C. cf. Zosim. 1, 9). Il delitto fu compiuto con grande ipocrisia : l'imperatore scendeva dal Campidoglio appoggiandosi al braccio di Papinianus, quando i soldati si scagliarono su questi e l'uccisero. Si dice che egli gridasse loro che il suo successore avrebbe vendicato un tanto oltraggio alla dignità di prefetto; la sua profezia s'avverò quando Macrino ordì la morte di Caracalla (Spart. ib.). Questa versione è in contradizione con l'altra riferitaci da Dione, secondo la quale Papinianus sarebbe stato deposto dall' ufficio molto prima, e certo essa sarebbe stata più verosimile, se la vendetta fosse poi ricaduta sui pretoriani che avevano ucciso il loro capo. Caracalla rimproverò un soldato perchè aveva ucciso Papinianus con un'ascia invece che colla spada (Dione LXXVII, 4; Spart. Car. 4), vero istrumento per punire colla morte i colpevoli (D. XLVIII, 19, 8, 1; di qui l'espressione ius gladii habere D. 1, 18, 6, 8; cf. 16, L. 6 pr.). Varie congetture si fecero sulla causa precisa di questo delitto; la più comune è che egli rispondesse all'imperatore, che gli chiedeva di far l'apologia dell'uccisione di Geta in Senato ed al popolo, essere cosa più facile commettere un assassinio che scusarlo. Un'altra versione invece dice che incaricato dall'imperatore di comporre una orazione di invettive contro Geta, per giustificarne l'uccisione, vi si rifiutasse dicendo che accusare un innocente, che era stato assassinato, era un re

plicare l'omicidio. Sì l' una che l'altra di queste versioni hanno del verosimile, malgrado la stupida obiezione di Spartianus che il prefetto non poteva dictare orationem (Carac. 8, cf. Hirschfeld Untersuch., 1, p. 213, n.). Anche il figlio di Papinianus, il questore, venne ucciso (ib. 4).

Nel tribunale, che ebbe Papinianus per presidente, figurarono anche Ulpianus e Paulus come assessori (Spart. Pescén. 7 ; Lampr. Alex. Sev. 26; cf. D. XII, 1, 40). Esso fu il più autorevole dei tribunali Romani, e la fama di Papinianus è giunta da quei tempi a noi splendida, insuperabile. Spartianus (Sever. 21) lo chiama iuris asylum et doctrinae legalis thesaurum, e anche tralasciando i titoli costantemente attribuitigli di disertissimus, consultissimus ecc., la costituzione di Costantino, che proibiva ogni critica alle opinioni di Papinianus, venisse anche da Ulpianus e Paulus, sono una prova assai evidente dell' alta riputazione di cui egli godeva (Cod. Theod. 1, 4, 1). Questa disposizione venne seguita dalla ben nota legge delle citazioni (ib. L. 3), di Teodosio II e Valentiniano III che a parità di condizione dava la preferenza all'opinione di Papinianus. Ubi diversae sententiae proferuntur, potior numerus vincat autorum vel, ei numerus aequalis sit, eius partis praecedat auctoritas, in qua excellentis ingenii vir Papinianus emineat. Zosimus (5° secolo) lo chiama uomo giustissimo, e di gran lunga superiore a tutti i giure · consulti che lo precedettero e lo seguirono nell' interpretare le leggi (I, 9). Gli studenti di terzo anno venivano chiamati Papinianistae, formando i suoi Responsa soggetto speciale di studio in quell' anno. La prima lezione su Papiniano veniva celebrata con una festa solenne, uso che venne poi confermato da Giustiniano che ha per lui alte lodi (splendidíssimus, summi ingenii [Const. Deo § 6] sublimissimus, acutissimus, pulcherrimus, maximus [Const. Omnem SS 1, 4]). Oltre i Responsa, gli studenti dovevano fare un piccolo studio delle altre opere di Papinianus, e Giustiniano in uno dei libri del Digesto (XX) che doveva formare oggetto di studio per il terzo anno, invertì l'ordine dei frammenti, affinchè tutti i titoli cominciassero con dei frammenti di Papinianus (ib. 4). Il Cuiacio commentò tutti i suoi frammenti, che si trovano nel Digesto. Egli chiama Papinianus <«< il più gran giureconsulto che sia esistito o possa mai esi

stere » e dice che « egli tiene fra i giureconsulti lo stesso posto che Omero ha fra i poeti » (Praef. al Comment. IV, p. 558 Prati). Il Puchta dice che l'ammirazione che in ogni tempo si ebbe per Papinianus è dovuta all'avere egli si lungamente preso parte alle cose politiche, all' aver tenuto alte cariche, alla sua grandezza di giureconsulto e scrittore inarrivabile, all'integrità di carattere e forza morale che illustrò tutta la sua vita e lo rese il modello del vero giureconsulto (Cursus § 100). Di questa opinione è anche il Rudorff (R. G. 1, 573). Il Mommsen lo proclama il primo fra tutti i giureconsulti Romani per genio e pel sentimento del giusto e della moralità, ma forse il meno Romano pei pensieri e per la lingua (Z. R. G. IX, p. 100). Il Kuntze s'unisce a lui per quanto s' attiene alle lodi (Cursus § 321).

Lo stile di Papinianus è in generale assai condensato, avendo egli sempre di mira di esporre il caso o la sua opinione nel minore numero possibile di parole. L' Esmarch ne è entusiasta; egli dice di lui: « chiaro e profondo ne è il pensiero, l'espressione sempre adeguata; non una parola di più nè di meno, e ciascuna al suo vero posto; degno dei più bei giorni di Roma, ecc. (Röm. R. G. § 133, ed. 2). Quanto a noi sembraci giusta l'osservazione del Mommsen in riguardo alla sua lingua; la costruzione è talvolta stentata, e le parole usate non sono di classica latinità.

In molti passi (citati dal Kuntze Cursus § 321) trovasi un alto senso della dignità e del valore dei rapporti famigliari e delle convenienze etiche. Così ad esempio, se il venditore d'uno schiavo avesse stipulato (vedi Roby, A Commentary on the usufruct p. 186) che questi non dovesse esser venduto in Italia, ed il compratore avesse violato la condizione, Papinianus sosteneva doversi mostrare un interesse pecuniario, perchè il venditore avesse diritto a chiedere soddisfazione. La regola era quod vir bonus arbitralur e non era conforme al carattere dell' uomo onesto che il semplice riconoscimento di un sentimento malizioso desse diritto ai danni. D'altra parte se il venditore avesse stipulato che lo schiavo non dovesse essere sbarcato in paese straniero, il compratore che avesse violato questa condizione sarebbe stato obbligato pei danni, qualora però la

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