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CAPITOLO XIII.

GIURISTI DELLA SECONDA METÀ DEL SECONDO SECOLO

MAECIANUS i. e. L. VOLUSIUS MAECIANUS fu da prima istitutore di Marco Antonino (Capit. Marc. Ant. 3), poscia membro del suo consiglio (Capit. Ant. P. 12). Fu governatore d'Alessandria, e venne ucciso dall'esercito, all' insaputa di Marco, per essersi mostrato favorevole ad Avidio Cassio che aveva. in animo di assumere la porpora imperiale (175 d. C. [Capit. M. Ant. 25: filium Cassii deve essere errato; Avid. Cass. 7]). In un rescritto di Marco e Vero, Maecianus è chiamato amicus noster ut et iuris civilis praeter veterem et bene fundatam peritiam anxie diligens. (D. XXXVII, 14, L. 17). Parlando di Iulianus, lo chiama noster per tre volte (e. g. D. XXXV, 2, L. 30 § 7).

Secondo l'Indice Fiorentino egli scrisse 16 libri di Fideicommissa (sotto il regno d'Antonino Pio), e 14 sui Publica (iudicia). Dalla prima di queste due opere vennero presi 40 frammenti; dell'altra tre soltanto. Nel D. XIV, 2, L. 9 troviamo anche un frammento greco preso da « Volusius Maecianus ex lege Rhodia » nel quale si contiene un rescritto d'Antonino, che convalida. la lex Rhodia in materia di naufragi, solo però in quanto non fosse stata in contrasto con alcun'altra legge romana. Maecianus è citato 17 volte nel Digesto; i suoi frammenti occupano più di 7 pagine d'Hommel, e sono in parte considerevolmente lunghi, e. g. XXXV, 2, L. 30; L. 32; XXXVI, 1, L. 66 (64); 67 (65); XLIX, 17, L. 18.

Fra i libri di diritto antigiustiniano trovasi un breve suo trattato, che è giunto fino a noi in altro modo; è indirizzato al Cesare (indubbiamente al suo scolaro Marco Antonino) e contiene una descrizione delle varie parti dell'as. (i. e. delle parti nelle quali si solevano dividere le eredità; vedi D. XXVIII, 5. passim) e del modo di notare e di chiamare la moneta (l'aes excurrens) quando i conti fossero fatti in denarii o sestertii. Dap

prima cioè descrive e nomina le varie frazioni che hanno 12 per denominatore ('/12, 2/12 ecc.); poi insegna come si debbano esprimere i sedicesimi (prendendo per unità il denarius di 16 asses) con dodicesimi, mezzo dodicesimi ecc.; infine insegna come si debbano indicare gli ottavi (prendendo per unità il sestertius di 4 asses) con decimi e dodicesimi (Vedi Roby, Lat. Gram. vol. I, app. D). Alcune misure e pesi chiudono il trattato.

GAIUS. Di questo giureconsulto non sappiamo altro che egli fu autore di parecchi libri di diritto Romano, il contenuto dei quali lascia supporre che venissero scritti al tempo degli Antonini primi. Un frammento, preso da una delle sue opere, racconta un aneddoto avvenuto ad Adriano ai tempi suoi (nostra aetate D. XXXIV, 5, L. 7 pr.); ma prima di Teodosio II e Valentiniano III noi non lo troviamo citato con certezza da nessuno. Costoro nella loro legge conferirono alle sue opere autorità pari a quella di Papinianus, Paulus, Ulpianus e Modestinus. In quest' epoca all'incirca (secondo alcuni [Huschke, Z. R. G. XIII, 9] prima della legge Teodosiana e Valentiniana; secondo altri, dopo [veggasi Rudorff R. G. I, p. 286]) troviamo un brano delle sue istituzioni nel confronto fra le leggi Romane e quelle di Mosè che viene chiamato lex dei Collatio Mos. et Rom. legum XVI, 2. Il grammatico Priscianus (Inst. VI, 96), che scriveva in Costantinopoli circa l'anno 500 d. C., cita due linee delle istituzioni (I, 113). La lex Romana Visigotorum, che venne composta da una commissione di vescovi e nobili provinciali in Aire nella Guascogna, sotto l'autorità del re Alarico II, nel 506 d. C., contiene oltre le Sententiae di Paulus, una parte del Codice Teodosiano, altri frammenti, ed una epitome (1) in due libri dei primi tre delle Istituzioni Gaiane. Giustiniano fa parola di Gaius tre volte; egli dice che le proprie istituzioni vennero compilate su altri libri simili e

(1) Fitting arguisce che questa venne composta fra il 384 ed il 428 o al più 438 d. C. Infatti essa proibiva il matrimonio fra cugini di primo grado, ed è quindi posteriore alla legge Teodosiana (Gothof. Cod. Th. I, p. 332 e III, p. 1021), e considera ancora vigente la dictio dotis, ed è quindi anteriore al Cod. Th. III, 13, L. 4.

trattati, ma specialmente sulle Istitutiones e Res Cottidianae di « Gaius noster » (Praef. Inst. § 6); nelle istituzioni stesse ha delle citazioni di « Gaius noster » (IV, 18, § 5) sulle XII tavole; e nella sua esposizione dell'argomento degli studi prima della sua riforma, dice che nel 1° anno si studiavano 6 libri del « noster Gaius », cioè: le Istituzioni e 4 trattati speciali (Const. Omnem § 1). La espressione Gaius noster probabilmente non significa altro che famigliarità con le sue opere; sull'uso che di queste si fece nel Digesto parleremo più innanzi.

È questione se alcune altre citazioni di « Gaius» si riferiscono all'autore delle Istituzioni o a Gaius Cassius Longinus, altro giureconsulto e capo della scuola Sabiniana. Tali sono quelle di Iulianus (D. XXIV, 3, L. 59) dove dice che Gaius era. della stessa opinione di Sabino; un'altra di Iavolenus, « libro secundo ex Cassio » (D. XXXV, 1, L. 54) ex commentariis Gai scriptum est; un'altra ancora dello stesso scrittore « libro undecimo ex Cassio» (D. XLVI, 3, L. 78) in libris Gaii scriptum est; ed infine una quarta di Pomponius « libro vicensimo secundo ad Q. Muciuni » (D. XLV, 3, L. 39) dove approva « quod Gaius noster dixit » in una questione analoga a quella trattata da Iavolenus. L'epoca nella quale vissero questi scrittori e specialmente Iavolenus rende inverosimile il supporre che le loro citazioni si riferissero al nostro Gaius, sebbene, avendo egli scritto su q. Mucium, poteva venir citato da Pomponius. Ma se è vera la supposizione dell'Asher (Z. R. G. V, 85) che la parola noster venisse usata dagli scolari quando parlavano dei loro maestri, appunto come gli schiavi l'usavano parlando dei loro padroni, Pomponius non avrebbe dovuto chiamare noster l'autore delle Istituzioni. Servio il commentatore di Virgilio (Georg. III, 306) dice: apud maiores omne mercimonium in permutatione constabat, quod et Gaius Homerico confirmat exemplo. Ciò si adatterebbe assai bene al frammento delle Istituzioni III, 141, ma da questo stesso passo e dal D. XVIII, 1, L. 1, § 1 appare evidente che i versi in questione erano una citazione assai usata da Sabinus e dalla sua scuola; però si deve notare che ai tempi di Servio le Istituzioni erano già divulgate (400 d. C.), mentre non consta che fosse allora conosciuto alcun libro di Cassio.

Il Mommsen ha per il primo emessa l'ipotesi che Gaius fosse

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professore non in Roma, ma a Troas, nella provincia d'Asia. Egli fonda la sua ipotesi sui seguenti fatti (1): a) che solo il praenomen ci è noto di questo giureconsulto, come appunto sappiamo che era costume dei distretti Greci. b) che è un nome assai comune nella lingua e negli scrittori Greci (D. XIX, 2, L. 25, § 6; L. 16, L. 30, § 2; L. 233, § 2; L. 236); e che Gaio cita le leggi di Solone (D. X, 1, L. 13; XLVII, 22, L. 4). c) che egli s'occupò specialmente del diritto riguardante le provincie, e scrisse sull'edictum provinciale della provincia, qualunque essa fosse, nella quale risiedeva. d) che egli cita e confronta con le Romane le leggi dei popoli stranieri, e. g. Inst. I, 55, (i Galati); I, 193 (i Bitini); III, 96 e 134 (gli stranieri in generale). e) che egli scrisse sulle antichità: p. e. egli è l'unico scrittore, posteriore ad Augusto, che scrivesse sulle 12 tavole, mentre poi ignorava leggi che in Roma dovevano essere note a tutti i giureconsulti, come il S. consultum Tertullianum (2) (cf. Gai. III, 24). f) che egli fu giurista assai copioso, e nullameno non ebbe l'ius respondendi, come appare evidente dal fatto che egli non dice e nemmeno fa supporre d'aver mai occupata una tale posizione (e. g. I, 7), e che non si trova citato neppure nel Digesto, nè altrove, alcun suo responso; e che neppure ebbe grande clientela, poichè non conosciamo nessuna questione. g) che le sue opere non furono riconosciute autorevoli che al principio del V secolo, cioè 250 anni dopo che erano state scritte. h) che Gaio nomina tre città che avevano l'ius Italicum, Troas, Berytus, Dyrrachium, e che la prima di queste era una delle città più importanti dell'Asia, colonia Romana fin dai tempi di Augusto, e che usava come lingua ufficiale il latino, come dimostrano monete ed iscrizioni. Inoltre in quella provincia venne promulgato l'Editto di Q. Mucius Scaevola, che pare

(1) Il saggio di Mommsen si trova nei Iahrb. des gem. Rechts, III, (1859) p. 1 e seguenti, di Bekker e Muther. Vedi Bremer, o. c., p. 77.

(2) La data di questo S. C. è incerta. Alcuni, fondandosi sull'autorità di Iust. III, 352, credono che risalga ai tempi di Adriano: altri invece, fondandosi sull'autorità di Zonaras, XII, 1, p. 593 c. e sul fatto che un certo Tertullus era console nel 158 d. c., e quelli d'Antonino Pio. Vedi Schirmer, Erbrecht, I, n. 87.

fosse poi considerato come un modello di editto provinciale (Val. Max. VIII, 15, § 6; Cic. Att. VI, 1, § 15) e Gaius scrisse dei commenti a Q. Mucius (Inst. I, 188). A questi argomenti risponde l'Huschke (Praef. a Gaius): 1° che vi sono altri esempi di Romani noti pel solo prenome, come: Servius (Sulpicius). Sextus (Pomponius); 2o che l'Editto della provincia dell' Asia avrebbe dovuto esser chiamato Asiaticum non provinciale, come appunto si chiamò Edictum Siciliense quello di Verre; 3° che non si può supporre che ad alcun giurista sia mai passato per la mente di scrivere un'opera di 30 libri sopra l'editto di una sola provincia, e che quindi per edictum provinciale si doveva intendere un editto applicabile a tutte le province, sull'analogia di provinciale solum, provincialis senator ecc. ecc.; 4° che i raffronti con le leggi dei Bitini e dei Galati vennero fatti da Adriano, e Gaius non fece che riportarli, e che inoltre era stato l'uso anche di altri giureconsulti di fare studii sul diritto delle province (Gell. XX, 1, § 4; Dosith. 12); 5° che molti esempi addotti da Gaio mostrano che egli viveva in Roma: e. g. si navis ex Asia venerit (D. XXVIII, 5, 33); si inter eos qui Romae sunt talis fiat stipulatio « Hodie Carthagine dare spondes? » (D. XLV, 1, 141, 4; ecc.); si is qui ita stipulatus fuerit « millin Ephesi dare spondes?» Romae puri su intenderit (Inst: IV, 53); ed infine anche nei suoi libri sull'editto provinciale egli parla di fundus Tusculanus, vinum Campanum, triticum Africum (D. XLV, 1, 34); 6o che egli parla di pretore, invece di parlare di proconsole (D. XXXV, 3, 11); 7° che dice il giorno destinato alle preghiere per l'imperatore essere il terzo dopo le Kal. Ian. come era appunto in Roma e non nelle provincie. È probabile, conclude infine l'Huschke, che Gaius fosse Greco, nato in qualche colonia Romana dell'oriente; certo la lucidità della sua mente e la educazione sua teoretica si confanno assai bene ad un intelletto greco.

Il Dernburg (Die Istitutionen des Gaius, pp. 89, 90) rileva alcuni passi (III, 224; II, 163; III, 57; IV, 165) nei quali si fa menzione del pretore anzichè del proconsole, e ne conclude che Gaius evidentemente era assai più versato nell'uso dei giudizii romani che in quelli dei governatori provinciali. Il Kuntze (Der Provincialjurist Gaius, 1883, p. 5) nota certe espres

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