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CAMPANUS è menzionato due volte nella materia fidecommissaria, cioè da Valens in D. XXXVIII, 1, 47; e da Pomponio. in XL, 5, 34, 1.

PUTEOLANUS, libro primo adsessoriorum scribit, D. II, 14, L. 12 (Ulp.). Questo è quanto a noi è noto intorno a questo scrittore. OCTAVENUS è citato da Valens (D. XXXVI, 1, 69 (67) pr.); da Terentius Clemens (XL, 9, L. 32); da Pomponius (XIX, 1, 55; XXX, 9; XL, 1, 13; IV, 61, 2; 50, 20, bellissime Aristo et Octarenus putabant); da Marcianus (XX, 3, L. 1, § 2); spesso da Paulus (e. g. VI, 1, 6; XVIII, 6, 8, Proculus et Octavenus aiunt); e da Ulpianus (e. g. V, 2, L. 16; L. 18; VII, 8, L. 12, § 6). Scrisse sulla Lex Iunia Norbana che venne approvata l'anno 19 d. C. (Dosith. 2). Il Digesto non contiene alcun frammento di questo scrittore.

VARIUS LUCULLUS è citato da Aristo in un frammento di Pomponius (D. XLI, 1, 19). Il Mommsen congettura che Varius sia un errore invece di Varro; e quanto a Lucullus si riporta a C. Tull. 4, § 8; M. Lucullus qui summa aequitate et sapientia iux dixit, primus hoc iudicium composuit. Se questo veramente fosse stato il Lucullus a cui si allude, Pomponius (che scrisse sopra Aristo) avrebbe dovuto nominarlo nella sua lista dei giureconsulti.

SERVILIUS. Di questo giurista dice Terentius Clemens, che egli riferì un'opinione di Proculus (D. XXXVII, 14, 10).

ARISTO, che troviamo frequentemente citato nel Digesto, è senza dubbio quel Titius Aristo amico di Plinio il giovane, che a lui indirizzò due lettere (Vo, 3; VIII°, 14). Egli attese alle lezioni di Cassius (D. IV, 8, L. 10) e fu insieme a Neratius Priscus nel consilio di Traiano (D. XXXVII, 12, L. 5). Gravi malattie lo affliggevano talmente che chiese a Plinio ed agli altri suoi amici se veramente gli rimanesse qualche speranza di guarigione, deciso, in caso contrario, a suicidarsi (Plin. Ep. I, 22). Questi risposero favorevolmente, e noi troviamo Aristo ancor vivo all'epoca del consolato di Afranius Dexter, i. e. 105 d. C. (ib. VIII, 14, § 12). Plinio fa di lui questo caldo elogio. Nihil illo gravius, sanctius doctius, ut mihi non unus homo sed literae ipsae omnesque bonae artes in uno homine summum periculo adire videantur. Quam peritus ille et privati iuris et puIntroduzione al Digesto.

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CAP. XI. GIURISTI DELLA SECONDA METÀ DEL PRIMO SECOLO blici! Quantum rerum, quantum exemplorum, quantum antiquitatis tenet! Nihil est quod discere velis quod ille docere non possit... In toga negotiisque versatur, multos advocatione plures consilio iuvat. Nemini tamen istorum (i. e. filosofi) castitate, pietate iustitia, fortitudine etiam primo loco cesserit (ib. I, 22).

Nel Digesto non si conservò alcun frammento delle sue opere, però egli è frequentemente citato. Dava responsi dei quali alcuni sappiamo che vennero diretti a Celsus (D. II, 14, L. 7, § 2; XL, 7, L. 29, § 1), altri a Neratius Priscus (XX, 3, L. 3; cf. XL, 4, L. 46), ed altri ad altri. Anche egli però ne ricevette da Neratius (XIX, 2, L. 19, § 2). Aristone scrisse delle note ai Posteriores di Labeo (D. XXVIII, 5, L. 17, § 5); a Sabinus (VII, 8, L. 6); ai libri di questo ad Vitellium (D. XXXIII, 9, 3, 1) ed a Cassius (D. VII, 1, 7, 3). Sembra che egli compilasse anche una collezione di decisioni (Aristo in decretis Frontianis ita refert, D. XXIX, 2, L. 99, che Rudorff [R. G. 1, p. 184] e Mommsen credono essere una raccolta di sentenze in appello pronunziate da Frontinus che fu più volte console. Gellio ci dice d'aver letto in un libro d'Aristo, giureconsulto, haudquaquam indocti viri, che gli Egiziani consideravano il furto come un atto legale e non lo punivano. Neratius nelle sue Membranae riporta spesso l'opinione di Aristo (D. II, 14, L. 58; XIII, 1, L. 12, § 2; XVII, 1, L. 39; XVIII, 3, L. 5; XXXVI, 3, L. 13); e questa è forse la ragione per cui le loro opinioni vengono spesso citate insieme (e. g. VII, 2, 3, 2[ Vat. Fr. 83; XVII, 2, 62; XXIII, 3, 20; ecc.). Inoltre anche Pomponius cita spesso Aristone, ed il Mommsen, fondandosi sulle parole di Paulus (D. XXIV, 3, L. 44, pr. ut est relatum apud Sextum Pomponium digestorum ab Aristone libro quinto) crede che egli ne raccogliesse e pubblicasse gli scritti; ma queste parole non stanno che a denotare un'opera d'Aristone citata da Pomponio. Anche nei Vat. Fr. 88, 199, troviamo citato Aristo. La lettera di Salvius Aristo a Iulianus non può venire attribuita al nostro giureconsulto, che trovavasi già in età avanzata mentre Iulianus era ancora giovinetto. Vedi Mommsen, Z. R. G. VII, 474, ed il suo Indice al Plinio di Keil.

AULUS. Di questo giureconsulto non conosciamo che il nome, che trovasi accanto a quello d'Aristo nel D. XXVIII, 5, 17, 5.

CAPITOLO XII.

GIURISTI DELLA PRIMA METÀ DEL SECONDO SECOLO

MINICIUS Scrisse qualche opera che venne edita ed annotata da Iulianus in 6 libri, e nell' Indice Fiorentino troviamo appunto nominati sei libri di Iulianus ad Minicium; però le iscrizioni dei frammenti, che sono nel Digesto in numero di 40, hanno ex Minicio, eccetto III, 3, 70, che ha ad Minicium. In due posti (VI, 1, 61; XXXIII, 3, 1) la nota di Iulianus v'è distinta, e così pure in una citazione, XIX, 1, L. 11, § 15, dove libro decimo apud Minicium è forse un errore per qualche altro libro (X per V?). In altri due frammenti abbiamo Iulianus respondit (III, 3, L. 76; XLVI, 8, L. 23), ed anche nel D. XIX, 1, L. 6, § 4, troviamo citato Minicius.

Generalmente esso viene identificato con quel Minicio Natale al quale Traiano indirizzò un rescritto col quale permetteva che venissero trattate nei giorni di festa le faccende riguardanti la disciplina militare, fra le quali la custodiarum cognitio. Il rescritto si trova in un frammento preso dal VII libro d'Ulpiano de officio proconsolis (D. II, 12, L. 9). Questo Minicius Natalis fu senza dubbio il maggiore dei due menzionati in parecchie iscrizioni, dalle quali appare anche che fu console nel 107 d. C. e proconsole in Africa col figlio (C. I. L. II, 4509, Wilmanns 1172; VIII, 2478; 4676; X, 5670. Pel figlio vedi II, 4510, 4511; VIII, 4643; Wilmanns, 1179). In alcune altre iscrizioni trovasi nominato un Minicius Natalis (Eph. Epig. I, p. 251; IV, p. 271). Il nome completo d'amendue era L. Minicius, L. F. Gallus) Natalis Quadronius Verus.

Alcuni credono che la lettera di Plinio indirizzata Minicio suo (VII, 12) fosse diretta al nostro giureconsulto.

LAELIUS. Un giureconsulto di tal nome è per due volte nominato da Paulus D. V, 3, 43; 4, 3. Nel secondo di questi frammenti si dice che egli erasi trovato presente in Alessan

dria, quando fu arrecata ad Adriano una donna che aveva partorito quattro figli in una volta ed un altro dopo 40 giorni ; cf. D. XXXV, 4, 7 (Gai). In Gellio (XV, 27), troviamo 3 frammenti dell'opera sua ad Q. Mucium relativi ai Comitia, in uno dei quali è citato Labeo. Macrobio (Sat. I, 6, § 13) ha una citazione di un M. Laelius Augur che l'Huschke attribuisce con poca sicurezza a Laelius Felix. In Plinio (H. N. XIV, 93) gli editori leggono L. Aelius.

VALERIUS SEVERUS è citato da Iulianus (D. III, 5, 29 (30), respondit V. S.) e da Ulpianus (III, 3, 8 pr.; XLIII, 20, 1, 21) e forse anche in II, 4, 4, 3 (ut Severus dicebat). A. C. Valerius Severus fu consul suffectus nel 124 d. C. (Corp. I. L. III, p. 873).

NERATIUS PRISCUS visse sotto i regni di Traiano e di Adriano; era al consolato insieme ad Annius Verus, quando venne approvato un decreto del Senato, che stabiliva che ad ogni padrone che castrasse il proprio schiavo venisse confiscata una metà del suo patrimonio (D. XLVIII, 8, 6).

Il Borghesi fa risalire il suo consolato all'83 d. C.; Asbach al 98 d. C. (vedi Teuffel, p. 794, n. 4). Neratius era insieme ad Aristo membro del Consiglio di Adriano quando questi sentenziò che il padre che fosse stato costretto ad emancipare il figlio, in causa dei maltrattamenti a cui l'aveva fatto segno, non potesse come manumissore reclamarne la successione (bonor. poss.) (D. XXXVII, 12, L. 5). Insieme a Celsus e Iulianus. egli fece anche parte del consiglio di Adriano (Spart. Hadr. 18). La sua condizione era delle più altolocate, sicchè molti credettero che Traiano volesse designarlo come suo successore, invece d'Adriano; e gli amici suoi sì caldamente lo commendavano, che un giorno Traiano gli disse: commendo tibi provincias si quid mihi fatale contigerit (ib. 4, § 8). In una iscrizione trovata a Saepinum, città municipale nel Samnium, sono enumerate le cariche che egli tenne: L. Neratio, L. f. Vol. Prisco. Praef. Aer. Sat. Cos. Leg. Pr. Pr. in prov. Pannonia scribae quaestori et munere functi patrono (Wilm. N° 1152). Il Mommsen lo identifica (Indice al Plinio di Keil) con quel Priscus al quale scrive Plinio nel 98 d. C. (Ep. II, 13), e del quale parla come se fosse capo di un grande esercito; e forse col Priscus di Ep. VI, 8; VII, 8; 19; e VII, 15. (Anche suo fratello Neratius

Marcellus [D. XXXIII, 7, 12, 43] fu console, e sotto il regno di Traiano legato in Brittannia. Adriano l'obbligò ad uccidersi Spart. Hadr. 15).

Nell' Indice Fiorentino sono nominate le sue Regulae in 15 libri; le Membranae in 7; ed i Responsa in 3. Nel Digesto si trovano circa 64 frammenti generalmente brevi occupanti 7 pagine 1⁄2 d'Hommel e per la massima parte tolti dalle Membranae (6 pag. d'Hommel), e si fa anche menzione dei suoi libri ex Plautio (D. XXXIII, 7, 12, 35). Egli è spesso citato nel Digesto (128 volte) ed altrove (Vat. Fr. 54; 71; 75; 79-85; Collat. XII, 7, § 7); nel D. XIX, 2, L. 19, § 2, è citata anche una sua lettera ad Aristo. Dei suoi frammenti alcuni son tolti da una edizione dei suoi scritti, altri da un commentario di Paulus (4 libri). Veggasi D. VII, 8, 23; XV, 1, 56; XVII, 1, 61; XXIV, 1, 63 ecc. Gellio (IV, 4) parla di un libro de Nuptiis, che probabilmente faceva parte di una delle sue opere più generali.

IAVOLENUS PRISCUS. Ben poco sappiamo intorno alla vita di questo giureconsulto; poche parole di Pomponius, un frammento ed una lettera di Plinio sono le sole informazioni dirette, che possediamo sul suo conto. Iulianus (D. XL, 2, 5) ci dice come si ricordasse del maestro suo Iavolenus, il quale in Africa ed in Siria teneva consilio per approvare le manomissioni (cf. Ulp. I, § 12 e segg.) e manomise alcuni dei suoi servi; e ci dice che egli come pretore ne seguì l'esempio. Quali magistrature tenesse il nostro Iavolenus non ci è detto. Plinio ci racconta che Passennus Paulus, avendo raccolti alcuni amici per legger loro alcuni versi elegiaci, cominciò rivolgendosi a Iavolenus Priscus colle parole: Prisce iubes; il quale non essendo forse molto amante della declamazione, e da giureconsulto non sentendosi disposto ad accettare così senz'altro la responsabilità gettatagli addosso (cf. fideiubere, actio quod iussu), non potè trattenersi dal rispondergli: Ego vero non iubeo. Questa risposta venne accolta da risa e frizzi, diretti in parte al poeta, ma in parte anche al faceto giureconsulto. Ma il giudice Plinio se ne risentì e prese le difese di Iavolenus: Est omnino Priscus dubiae sanitatis, interest tamen officiis, adhibetur consiliis atque etiam ius civile publice respondet. Plin. Ep. IV, 15.

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