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mes, XV, 114). Ammiano lo cita insieme a Trebazio ed Alfeno come tipo di antichi giureconsulti (XXX, 4, § 12).

Nominò suo erede un nipote di Q. Mucio (D. 1, 2, L. 2, § 45). Più eloquente di Trebazio, gli era inferiore come giurista. Celebri sono i suoi motti di spirito. Quando Vatinio (antico nemico di Cicerone) venne lapidato dal popolo per aver dato dei giuochi assai miseri, egli fece passare una legge che alcuno non potesse gettare nell' arena che poma. Un uomo gli si presentò per chiedergli se i nuces pineae dovessero porsi nella categoria dei poma (D. L, 16, 205), e Cascellio rispose «Sì, se si tratti di lapidare Vatinio » (Macrob., Sat. II, 6). Un altro andò a consultarlo su una divisione di proprietà: dovrei dividere un vascello » gli dice, e subito Cascellio prende il < dividere » alla lettera e risponde: « Ma tu lo rovinerai » (Quint. VI, 3, § 87. Macrobio, navem si dividis, nec tu nec socius habebitis).

Dei suoi libri uno soltanto si conservava ancora ai tempi di Pomponio, intitolato bene dictorum; titolo ambiguo che poteva voler dire d'arguzie, o di opinioni bene espresse.

In Gaio, IV, 166, troviamo fatta parola d'un Cascellianum o secutorium iudicium che si usava per ottenere il possesso di una cosa in questione dopo che un'azione di sponsione era stata decisa in favore di quello dei contendenti che non possedeva la cosa. Non sappiamo se questo giudizio prendesse il nome da Aulo Cascellio, è probabile invece che esso venisse introdotto da un pretore; e Cascellio, almeno a dir di Pomponio, non fu mai pretore.

Egli è citato insieme ad altri del suo tempo nel Digesto, principalmente da Labeone (pubblicato da Giavoleno) XXVIII, 6, L. 39, § 2; XXXII, L. 29 pr.; L. 100 pr.; XXXIII, 4; L. 6, § 1; 6, L. 7; 7, L. 4; L. 26, § 1; 10, L. 10; XXXIV, 2, L. 39, § 1; XXXV, 1, L. 40, § 1, una volta anche da Celso, L, 16, L. 158; due volte da Ulpiano, XXXIX, 3, L. 1, § 17; XLIII, 24, L. 1, § 7; queste due ultime citazioni furono probabilmente prese da Labeone.

Cicerone, Balb. 20, ci dice che Q. Mucio, l'augure, quando veniva consultato su qualche punto del diritto dei praediatores (chi fossero vedi in Gaio, II, 61) soleva mandare i suoi clienti

a Furio o Cascellio, che per essere essi stessi praediatores conoscevano a menadito quella materia. Mommsen suggerisce che questo Cascellio fosse il padre del giureconsulto (Hermes, XV, p. 114).

TUBERO, il cui nome completo era Q. Elio Tuberone (Cic. Dig. 1; Gell. XIV, 2, § 20), fu di famiglia patrizia e studiò sotto Ofilio; da prima faceva il procuratore e divenne poi giureconsulto. Suo padre L. Elio Tuberone era amico intrinseco di Cicerone; essi erano stati domi una eruditi, militiae contubernales, post affines, in omni denique vita familiares (Cic. Lig. 7, § 21). Fu ambasciatore a Q. Cicerone quando quest'ultimo era governatore dell'Asia, 61 a. C. Allo scoppiare della guerra civile fra Cesare e Pompeo, Tuberone fu mandato governatore in Africa. Il figlio l'accompagnava, ma fu loro vietato di sbarcare o, come dice Tuberone stesso, da Ligario che era stato lasciato ivi incaricato dal governo come legato di Considio; o, come dice Cicerone, dal pretore Varo che era a Considio succeduto. Così respinti essi, se ne andarono in Macedonia al campo di Pompeo (Cic. Lig. 7-9) nelle file del quale trovossi il figlio nella battaglia di Farsalia (ib. 3). Nel 46 a C. mosse causa contro C. Ligario, come avversario di Cesare, perchè non gli aveva permesso di sbarcare nemmeno per attingere acqua. La sua orazione è citata da Quintiniano e conservavasi ancora ai tempi di Pomponio. Cicerone difese Ligario in un'orazione che si conserva ancora, e Cesare, commosso dalle sue parole patetiche e lusinghiere, lo assolse. Questo fatto addolorò tanto Tuberone che per poco egli non lasciò la giurisprudenza (D. 1, 2, L. 2, § 46). Egli prese in moglie una figlia di Sulpicio, dalla quale ebbe egli stesso una figlia che divenne poi madre del giureconsulto e statista C. Cassio Longino (ib. § 51). Egli era, al dire degli scrittori, considerato doctissimus iuris publici et privati; scrisse parecchi libri su vari argomenti, ma lo stile suo un po' antiquato li resero impopolari.

Gellio fa parola d'una sua opera de officio iudicis (XIV, 2, § 20) e dice (ib. 7, § 13) che Ateio Capitone cita e s'associa all'opinione di Tuberone, che ogni decreto del Senato dovesse sempre farsi per discessionem. Così pure in un altro punto di diritto (ib. § 8). Esso è citato nel Digesto da Labeone, D. XVIII, 1,

L. 77; XXXII, L. 29, § 4; XXXIII, 6, 47; 7, L. 25; da Celso direttamente o di seconda mano da Ulpiano, VII, 8, L. 2, XV, 1, L. 5, § 4; L. 6; XXXII, L. 43; XXXIII, 10, L. 7, § 2 (magnopere me Tuberonis et ratio et auctoritas movet); XLV, 1, L. 72 pr.; ed anche probabilmente, VII, 8, L. 2, § 1; e da Paolo, XXXIV, 2, L. 32, § 1.

Spesso viene citata una storia di Roma di Tuberone, e siccome sappiamo che il padre scrisse di storia (Cic. Q. Fr. 1, 1, § 18), così ci sembra naturale che all'opera sua si debbano riferire queste citazioni (vedi le raccolte nella Hist. Rom. Fr. di Peter ed. min.). Egli è pertanto chiamato Q. Tuberone in Livio, IV, 23; Suet. Iul. 83, e, quindi il giurista viene forse considerato anche come storico, non fosse altro perchè pubblicò e si servì delle opere del padre (Teuffel Schwabe, § 172, 8; 208, 1).

C. AELIUS GALLUS, del quale non si conserva nel Digesto che un frammento di una linea e mezzo, tolto probabilmente di seconda mano, scrisse un'opera de significatione verborum quae ad ius civile pertinent (Gell. XVI, 5, § 3) in due libri (?). Festo lo cita 20 volte. I frammenti che ci restano di lui sono raccolti nella Iurispr. Anteiust. di Huschke, p. 94. I più interessanti si riferiscono a reus, nexum, possessio, religiosum. Le sue definizioni sono citate nel Digesto, XXII, 1, L. 19 pr.; L. 16, L. 77 (Gallum).

Il suo nome non si trova nell' Indice Fiorentino.

BLAESUS è citato da Labeone: Blaesus ait Trebatium respondisse (D. XXXIII, 2, L. 31).

GRANIUS FLACCUS è citato da Paolo D. L, 16, L. 144 (Granius Flaccus in libro de iure Papiniano scribit etc.). Intorno all'ius Papinianum vedi D. I, 2, L. 2, § 2, 36. Granio Flacco è anche citato da Censorino, de die natali 3 (Granius Flaccus in libro quem ad Caesarem de indigitamentis scriptum reliquit); e da Macrobio, Sat. I, 18, § 4 (quod cum Varr. et Granius Flaccus adfirment). Altre citazioni di Granio e Granio Liciniano sono da Huschke riferite a Granio Flacco (veggasi però anche Teuffel Schwabe, S$ 199, 7; 359, 4, 5.

JUNIUS GRACCHANUS scrisse un'opera de potestatibus, il 7° libro della quale è citato da Ulpiano nel suo libro de officio quaestoris (D. I, 13).

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CAPITOLO VIII. GIURISTI DEL TEMPO DI CICERONE

FENESTELLA è citato nello stesso luogo e posto insieme a Giunio e Trebazio. Visse circa dal 52 a. C. al 19 d. C. e scrisse sopra antichità legali. Vedine i frammenti in Hist. Rom. Fragm. (Peter) p. 272 e seguenti; Teuffel Schwabe, § 259, 2, 3.

VITELLIUS. Di questo giurista non sappiamo altro che Sabino scrisse dei libri ad Vitellium (D. XXXII, L. 45; XXXIII, 7, L. 12, § 27; 9, L. 3 pr.). Cassio delle note (XXXIII, 7, 1. c.) e Paolo 4 libri ad Vitellium. Alcuni hanno supposto che egli fosse l'avo dell'imperatore Vitellio e quindi procurator rerum Augusti (Suet. Vit. 2).

CAPITOLO IX.

LABEONE E LE DUE SCUOLE DEI GIURISTI

LABEO era figlio di un giureconsulto amico di Bruto e cospiratore contro Cesare, che dopo la battaglia di Filippi si scavò una fossa nella sua tenda e coll'aiuto di uno schiavo s'uccise (App. B. Civ. IV, 135; Plut. Brut. 12, 51). Appiano dice che egli fu famoso per la sapienza (legale?) e chiamavasi Pacuvio Antistio Labeone (D. I, 2, L. 2, § 44). Anche più celebre di lui fu il figlio M. Antistius Labeo (Porfirio, ad Hor. Sat. 1, 3, 82) nato fra il 50 e 60 a. C. e morto fra il 12 e il 20 d. C. Egli attese alle lezioni di Alf. Varo, Cascellio, Ofilio, Tuberone e specialmente Trebazio che ne compì l'educazione. Omnes hos audivit, institutus est autem a Trebatio (Pomp. D. ib. § 47). Fu di vasta erudizione e Gellio (XIII, 10) menziona specialmente i suoi studi di grammatica dialettica e d'antica letteratura latina. Per opinioni politiche fu severo repubblicano, sostenitore degli antichi diritti costituzionali e sempre pronto a mostrarsi avverso al governo imperiale. Il suo grande rivale C. Ateio Capitone ce lo descrive quale eminentissimo giureconsulto e conoscitore dei costumi Romani, ma fanaticamente avverso a far la minima concessione al reggimento imperiale. Sed agitabat hominem libertas quaedam nimia atque vecors tamquam · divo Augusto iam principe et rempublicam obtinente ratum tamen pensumque nihil haberet, nisi quod iuxtum sanctumque esse in Romanis antiquitatibus legisset. Capitone ci narra a questo proposito il seguente episodio: una donna mosse un'accusa contro Labeone presso i tribuni e quelli lo citarono a comparire e difendersi dall'accusa. Labeone si rifiutò dicendo che i tribuni potevano arrestarlo, ma che quanto a citarlo ciò non era nelle loro competenze (Gell. XIII, 12). La sua avversione ad Augusto apparve chiara quando quegli decise di ricostituire il senato (18 a. C.). Augusto dopo aver prestato giuramento di scegliere

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